§ 1. Archivum clausum sit oportet eiusque clavem habeant solum Episcopus et cancellarius; nemini licet illud ingredi nisi de Episcopi aut Moderatoris curiae simul et cancellarii licentia.
§ 2. Ius est iis quorum interest, documentorum, quae natura sua sunt publica quaeque ad statum suae personae pertinent, documentum authenticum scriptum vel photostaticum per se vel per procuratorem recipere.
§ 1. L’archivio deve rimanere chiuso e ne abbiano la chiave solo il Vescovo e il cancelliere; a nessuno è lecito entrarvi se non con licenza del Vescovo oppure, contemporaneamente, del Moderatore della curia e del cancelliere.
§ 2. È diritto degli interessati ottenere, personalmente o mediante un procuratore, copia autentica manoscritta o fotostatica dei documenti che per loro natura sono pubblici e che riguardano lo stato della propria persona.
§ 1. The archive must be locked and only the bishop and chancellor are to have its key. No one is permitted to enter except with the permission either of the bishop or of both the moderator of the curia and the chancellor.
§ 2. Interested parties have the right to obtain personally or through a proxy an authentic written copy or photocopy of documents which by their nature are public and which pertain to their personal status.
§ 1. El archivo ha de estar cerrado, y sólo el Obispo y el canciller deben tener la llave; a nadie se permite entrar en él sin permiso del Obispo, o del Moderador de la curia junto con el canciller.
§ 2. Todos los interesados tienen derecho a recibir personalmente o por medio de un procurador, copia auténtica, escrita o fotocopiada, de aquellos documentos que siendo públicos por su naturaleza se refieran a su estado personal.
§ 1: c. 377 §§ 1-2.
§ 2: c. 384 §§ 1-2.
Conferenza Episcopale Italiana, Decreto generale sulle Disposizioni per la tutela del diritto alla buona fama e alla riservatezza, 24 maggio 2018 [= Disposizioni per la tutela].
Il canone affronta, in due paragrafi, due questioni diverse, ma non estranee tra loro: la prima concerne il carattere riservato dell’archivio, la secondo il diritto, da parte di chi è interessato, di ottenere copia dei documenti che lo riguardano. L’archivio non deve essere accessibile a chi non è autorizzato per questo, a norma del can. 487 § 1, deve essere collocato in un luogo chiuso, la cui chiave deve essere custodita dal vescovo e dal cancelliere. Il can. 377 § 2 CIC 1917 affidava la custodia della chiave al solo cancelliere. La chiusura a chiave è giustificata dal fatto che nell’archivio sono conservate testimonianze importanti per la vita della Chiesa, per cui la scomparsa o la sottrazione di un documento finisce per lasciare un vuoto che renderà nel futuro più difficile ricostruirne la storia. Evidente dunque che se meno persone accedono all’archivio e anche quelle poche sono figure competenti e qualificate, meno documenti potrebbero andare perduti. Un’altra ragione di non meno rilievo sta nel non permettere a estranei di entrare e consultare documenti per loro natura riservati. L’accesso all’archivio deve essere autorizzato dal vescovo o, contemporaneamente, dal moderatore di curia e dal cancelliere. Evidentemente qui si parla di accesso per consultare i documenti conservati in archivio non per asportarli, perché di questa possibilità si occupa il can. 488. Il fatto che si preveda che l’accesso all’archivio debba essere autorizzato dal moderatore di curia insieme («simul et») con il cancelliere è legato al fatto che il cancelliere potrebbe essere un laico (Communicationes 24 [1981], 123).
Il Codice non prevede il libero accesso e la consultazione degli archivi da parte di chiunque: il can. 491 § 3 stabilisce che spetta al vescovo diocesano fissare le norme per la consultazione e per l’asportazione di materiale dagli archivi soggetti alla sua giurisdizione. Così anche quando il can. 487 § 2 stabilisce che gli interessati hanno il diritto di ottenere documenti che li riguardano, questo non comporta, da parte dei medesimi, né il libero accesso agli archivi né tantomeno la libera consultazione degli originali. Si ricordi poi che Disposizioni per la tutela, all’art. 8 § 7, c), stabilisce chiaramente il divieto di consultare i registri finché questi non sono trasferiti nell’archivio storico. È evidente poi che un conto è l’accesso e la consultazione di documenti contenuti nell’archivio corrente e di deposito, altro se si tratta dell’archivio storico. All’archivio corrente e di deposito della curia potranno chiaramente accedere solo le persone autorizzate a norma del can. 487 § 1. Si tratterà, sostanzialmente, di personale della curia diocesana. Ciò non significa che tutto il personale della curia possa indistintamente accedere all’archivio corrente e di deposito della curia stessa: apposite e specifiche indicazioni che tengano presenti le norme di diritto universale e particolare che tutelano il diritto fondamentale alla riservatezza (cf. cann. 220, 487-488 e Disposizioni per la tutela) dovranno essere emanate a questo proposito dal vescovo diocesano. Per quanto sostanzialmente la documentazione conservata negli archivi è e si manterrà ancora per lungo tempo cartacea, in assenza di disposizioni canoniche in materia e di adeguati e uniformi sistemi informatici di archiviazione, ciò non toglie che nelle curie diocesane, oltre a materiale informatico relativo per esempio alla catalogazione dei beni culturali, vi possano essere delle banche dati sensibili (si pensi alla registrazione dei battesimi), che vanno tutelati con attenzione. Ecco perché il titolare del trattamento «[…] deve garantire la sicurezza dei dati attraverso registrazione e trasferimento dei medesimi effettuati periodicamente su supporti diversi, in ogni caso inaccessibili agli estranei. L’accesso ai dati informatici deve essere tutelato, oltre che dalla sicurezza del luogo, da una chiave informatica di accesso conservata dal titolare del trattamento e periodicamente mutata; tale chiave di accesso deve essere custodita, in busta sigillata, nell’archivio del soggetto proprietario dell’archivio informatico» (Disposizioni per la tutela, art. 9 § 2). In una risposta particolare in merito al progetto di digitalizzazione dei dati sacramentali proposto da una conferenza episcopale, scrive il Pontificio consiglio per i testi legislativi: «Premesso che i Registri (che vanno distinti da elenchi e schedari) sono documenti di Archivio che non possono mai, in senso assoluto, essere sostituiti da qualsiasi database (anche web-based), anche se una trascrizione digitale potrebbe evidentemente facilitare la ricerca, risulta che gli strumenti multimediali non sono in grado di garantire la completa sicurezza della privacy né la tutela dai rischi informatici (hackeraggio) con tutte le altre conseguenze. La garanzia dell’assoluta riservatezza di questi dati è prioritario dovere dei ministri della Chiesa» (Risposta particolare Prot. n. 14661/2014 del 16 dicembre 2014, in http://www.delegumtextibus.va/content/testilegislativi/it/risposte-particolari/codex-iuris-canonici.html).
Oltre alla possibilità di virus informatici, non si deve dimenticare come la connessione in rete può permettere, se il sistema non è adeguatamente protetto, l’accesso dall’esterno alla banca dati conservata nell’archivio diocesano. D’altra parte anche lo stesso collegamento intranet tra parrocchie e curia, possibile in alcune diocesi, potrebbe essere manipolato da malintenzionati i quali, «rubando l’identità virtuale della parrocchia (user name e password d’accesso), potrebbero accedere a dati sensibili come quelli relativi agli atti di battesimo.
Il § 2 del can. 487 afferma che gli interessati hanno il diritto di ottenere, anche mediante un procuratore, una copia autentica, manoscritta o fotostatica, di quei documenti che riguardano lo stato della loro persona e sono per loro natura pubblici, fatta esclusione per quei dati che «non provenendo dal richiedente, sono coperti da segreto stabilito per legge o per regolamento ovvero non sono separabili da quelli che concernono terzi e la cui riservatezza esige tutela. L’interessato in ogni caso non ha diritto di ispezione dei dati del registro e dei dati sottratti alla sua conoscenza» (Disposizioni per la tutela, art. 8 § 5). Durante i lavori di codificazione si venne precisando che i documenti dei quali le persone interessate possono ricevere copia sono quei documenti per loro natura pubblici e che riguardano lo stato proprio della persona interessata. Un’altra importane evoluzione del testo fu la scomparsa dell’iniziale espressione «inspiciendi», per cui gli interessati avrebbero potuto non solo avere una copia dei documenti, ma anche accedervi di persona (cf Communicationes 13 [1981] 123; 24 [1992] 60, 86, 119, 128). Documenti pubblici che riguardano lo stato della persona sono, per esempio, i certificati di battesimo, una licenza matrimoniale, non invece documenti che non abbiano carattere pubblico come una lettera personale del vescovo. La copia del documento, per trascrizione o fotocopia ovvero con altre forme di duplicazione (basterebbe pensare ad un pdf ottenuto con la scannerizzazione del documento) deve essere autentica ossia dichiarata conforme all’originale da parte di chi ha tale compito: il cancelliere o un notaio di curia (cf can. 483, 2°). L’interessato potrebbe chiedere copia del documento anche attraverso un procuratore, che evidentemente deve dimostrare di essere tale. Nel rilascio di certificazioni si dovranno tenere presenti le Disposizioni per la tutela oltre che eventuali altre specifiche indicazioni, come per esempio quelle date dalla stessa CEI in merito alla compilazione del certificato di battesimo ad uso matrimonio (CEI, Decreto generale sul matrimonio canonico, n. 7: «II certificato di battesimo […] deve riportare soltanto il nome e il cognome, il luogo e la data di nascita del soggetto, l’indicazione del luogo e della data del battesimo e, se ricevuta, della confermazione. Le annotazioni rilevanti al fine della valida o lecita celebrazione del matrimonio e quelle relative all’adozione, eventualmente contenute nell’atto di battesimo, devono essere trasmesse d’ufficio e in busta al parroco che conduce l’istruttoria. Per quanto concerne i dati o le annotazioni riguardanti i genitori naturali di persone adottate, il parroco della parrocchia del battesimo e il parroco che conduce l’istruttoria sono tenuti al segreto d’ufficio»). Si ricordi inoltre che i documenti degli archivi diocesani possono anche essere richiesti da un’altra curia o ente ecclesiastico, come per esempio un tribunale ecclesiastico, per procedure di natura amministrativa o giudiziale.
M. Mosconi, Gli atti di curia: dall’istanza alla notifica; protocollo e archiviazione, in QDE 23 (2010) 101-125; G. Marchetti, Gli archivi ecclesiastici diocesani e parrocchiali, in QDE 28 (2015) 65-87; O. Pasquinelli, I lineamenti della disciplina canonica sugli archivi ecclesiastici, in QDE 3 (1994) 368-379; Pontificia Commissione per i beni culturali della chiesa, lett. circ. Nel corso, 2 febbraio 1997; G. Trevisan, Le chiavi dell’archivio di curia (can. 487), in QDE 8 (1985) 111-117; E. Zanetti, L’archivio diocesano e il cancelliere, in QDE 14 (2001) 144-161.
Communicationes 5 (1973) 227-228; 13 (1981) 121-125; 14 (1982) 214; 24 (1992) 117-118.