Quodlibet ius non solum actione munitur, nisi aliud expresse cautum sit, sed etiam exceptione.
Ogni diritto è protetto non soltanto da un’azione, a meno che non sia disposto espressamente altro, ma anche da un’eccezione.
Jedwedes Recht ist nicht nur durch die Klage, soweit das Gesetz nicht ausdrücklich etwas anderes vorsieht, sondern auch durch die Einrede geschützt.
c. 1667.
«Parum est iura condere, nisi sit, qui eadem tueatur»: «È ben poca cosa stabilire dei diritti se poi non ci sia chi li difenda». Si tratta di una forma stereotipa con la quale si introduceva nelle costituzioni apostoliche l’ordine di esecuzione di una legge (cf c. 3, de electione et electi potestate, I, 6 in VI°; seconda costituzione Ubi periculum di Gregorio X nel II concilio ecumenico di Lione del 7 luglio 1274 sulla elezione del Romano Pontefice). L’azione «Nisi aliud expresse cautum sit» L’eccezione
In linguaggio non tecnico, ma confacente alla natura costituzionale che si è inteso attribuire ai diritti dei fedeli nel Codice, si ha un parallelo nel can. 221 § 1: «Christifidelibus competit ut iura, quibus in Ecclesia gaudent, legitime vindicent atque defendant in foro competenti ecclesiastico ad normam iuris».
L’azione (il diritto di azionare, cioè di mettere in azione il giudizio) assicura la difesa giudiziale del diritto soggettivo. L’azione si definisce, infatti, «ius persequendi in iudicio quod sibi debetur». «Quod sibi debetur» o «quod est proprium» è il diritto soggettivo: così l’azione è il diritto di ottenere in giudizio quello che è proprio per diritto. L’azione difende il diritto messo di fatto in pericolo o di fatto leso.
Gli AA. discutono su alcune distinzioni quali, per esempio, se l’azione che inerisce al diritto si identifichi con l’inviolabilità di ogni diritto, oppure se l’azione che inerisce al diritto sia identificabile con il suo concreto esercizio (actio in actu secundo) o quest’ultimo sia distinto dall’azione (actio in actu primo). Sono discussioni che cercano di spiegare, in modo diverso e non indifferente, la realtà dell’esistenza di diritti che non sono di fatto azionabili in giudizio. La posta in gioco è alta, ma attiene più al modo di concepire il diritto che di applicarlo.
Il canone ha anzitutto forza generale, in modo che nell’ordinamento canonico non sia necessario di volta in volta elencare o registrare i diritti che possono essere fatti valere in giudizio: per sé, tutti lo sono; si tratta come di una praesumptio iuris a favore dell’azione.
Viene enunciata un’eccezione: «a meno che espressamente non sia stabilito diversamente». Ciò permette di affermare che possono esistere diritti, sprovvisti della possibilità di essere fatti valere in giudizio.
L’affermazione è piuttosto grave, soprattutto nel contesto odierno, che è insofferente ad ogni limitazione nell’accesso al giudizio per far valere il proprio diritto a fronte di (asseriti) soprusi. È necessario però fin da subito accennare a due contestualizzazioni dell’eccezione. La prima attiene al fatto che affermare un diritto e poi subito dopo negare la sua difesa in giudizio è operazione anzitutto che mette il rilievo la larghezza nella denominazione di «diritto» per tutto quanto nella normativa è riconoscimento o attribuzione ad una persona. La seconda attiene al fatto che la «difesa in giudizio» è da un lato uno dei modi che l’ordinamento appresta per la difesa dei diritti della persona, potendo prevedere altri modi non giudiziali, ma sempre proceduralizzati, dall’altro l’ordinamento può apprestare sistemi di difesa giudiziali, ancorché parziali, limitati o subordinati.
Un qualche rilievo per la comprensione è da riconoscere alle eccezioni menzionate dagli AA.
Sotto l’impero del Codice piano-benedettino, era menzionata, per esempio, la seguente eccezione: «Excommunicatis vitandis aut toleratis post sententiam declaratoriam vel condemnatoriam permittitur ut per se ipsi agant tantummodo ad impugnandam iustitiam aut legitimitatem ipsius excommunicationis; per procuratorem, ad aliud quodvis animae praeiudicium avertendum; in reliquis ab agendo repelluntur» (can. 1654 § 1 CIC17);
Durante l’iter di revisione del Codice fu prevista esplicitamente la seguente eccezione: «Si causa apud tribunal civile agatur vel iam iudicata sit, in eadem causa nonnisi consentiente Episcopo actio datur coram tribunali ecclesiastico» (can. 102 § 2: Communicationes 11 [1979] 69). La proposta fu poi eliminata «ne nimis limitetur norma § 1 [= can. 1491]» (ibid.).
Sotto l’impero del Codice vigente si possono addurre, per esempio, le seguenti eccezioni:
– can. 1062 § 2: «Ex matrimonii promissione non datur actio ad petendam matrimonii celebrationem; datur tamen ad reparationem damnorum, si qua debeatur»;
– can. 1400 § 2: quando ad essere oggetto di conflitto con l’autorità gerarchica è un diritto, questo può essere fatto valere solo attraverso il ricorso gerarchico e, poi, il contenzioso amministrativo;
– can. 1621: «Querela nullitatis, de quo in can. 1620, proponi potest per modum […] actionis […] intra decem annos a die publicationis sententiae».
L’eccezione (il diritto cioè a opporsi in un giudizio in cui si mette in pericolo o in discussione il proprio diritto) assicura e completa la protezione del diritto soggettivo. L’azione mira a proteggere in giudizio il diritto, che si trovi leso o minacciato fuori dall’ordine giudiziario, ossia di fatto; l’eccezione, invece, difende il diritto messo in pericolo da un’azione giudiziaria o in un’azione giudiziaria.
Bonnet, P.A., Azioni ed eccezioni (can. 1491-1500 CIC), in Id., Giudizio ecclesiale e pluralismo dell’uomo. Studi sul processo canonico, Torino 1998, pp. 184-201.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 80; 108; 41 (2009) 379; 11 (1979) 68-69.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.