Attamen controversiae ortae ex actu potestatis administrativae deferri possunt solummodo ad Superiorem vel ad tribunal administrativum.
Tuttavia le controversie insorte per un atto di potestà amministrativa possono essere deferite solo al Superiore o al tribunale amministrativo.
Streitigkeiten jedoch, die sich aus einer Maßnahme der ausführenden Gewalt ergeben, können nur einem Oberen oder einem Verwaltungsgericht zur Entscheidung vorgelegt werden.
Can. 1601; CI Resp., 22 maii 1923 (AAS 16 [1924] 251); REU 106.
Il paragrafo 2 del can. 1400 si apre con la particella avversativa attamen [= tuttavia, però, ma; jedoch], che intende contrapporre quanto in esso disposto al contenuto del paragrafo 1. Intende cioè affermare che alcune controversie non possono essere «oggetto di giudizio»: sono le «controversiae ortae ex actu potestatis administrativae». Ciò significa che [I] non quodlibet ius actione munitur (cf. can. 1491) e che [II] nelle controversie sorte da un atto amministrativo possono entrare in discussione anche «personarum physicarum vel iuridicarum iura persequenda aut vindicanda, vel facta iuridica declaranda»: in caso contrario, ossia se l’oggetto delle controversie dovesse essere necessariamente altro, non avrebbe motivo di essere la particella avversativa iniziale. Per la verità la particella avversativa non vuole escludere che le «controversiae ortae ex actu administrativo» possano essere oggetto di giudizio, ma che possano essere oggetto di giudizio ordinario.
Origine della limitazione
L’impostazione secondo la quale è assolutamente precluso ai tribunali di giudicare le controversie sorte da un atto emanato dalla potestà esecutiva ha origine dalla costituzione apostolica Sapienti consilio (29 giugno 1908), che all’art. 16 della Lex propria Sacrae Romanae Rotae et Signaturae Apostolicae posta in appendice alla costituzione apostolica, statuisce: «Contra dispositiones Ordinariorum, quae non sint sententiae forma iudiciali latae, non datur appellatio seu recursus ad sacram Rotam; sed eorum cognitio sacris Congregationibus reservatur» (cf. poi can. 1601 CIC17). Aveva così termine il secolare istituto dell’appellatio extraiudicialis e si inaugurava il sistema del Superiore-Giudice: le controversie di carattere amministrativo erano sottratte al giudice e ai tribunali, e deferite ai superiori gerarchici. Una innovazione così forte non poteva che sollevare resistenze, che la interpretazione autentica del 22 maggio 1923 intese stroncare, escludendo dalla giurisdizione dei tribunali anche la richiesta di risarcimento di danni proveniente da atti amministrativi:
«Utrum ad normam canonum 1552-1601 [= cann. 1400-1444 CIC83] institui possit actio iudicialis contra Ordinariorum decreta, actus, dispositiones, quae ad regimen seu administrationem dioecesis spectent, ex.gr., provisionem beneficiorum, officiorum, etc., aut recusationem seu denegationem collationis beneficii, officii, etc. – Et quatenus negative: Utrum ob eiusmodi decreta, actus, dispositiones, actio iudicialis institui possit saltem ratione refectionis damnorum; et proinde Ordinarius conveniri possit, ad normam canonis 1557 § 2 [= can. 1405 § 1 CIC83] et 1559 § 2 [= can. 1407 § 2 CIC83], penes Tribunal Sacrae Romanae Rotae.
R – Negative ad utrumque, et ad mentem. Mens est: exclusive competere Sacris Congregationibus cognitionem tum huiusmodi decretorum, actuum, dispositionum, tum damnorum, quae quis praetendat ex iis sibi illata esse» (AAS 16 [1924] 251).
Questo sistema fu modificato nel 1967 dall’istituzione della sectio altera del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica nell’art. 106 della costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae. Con quest’ultima innovazione si introduceva nella Chiesa un sistema denominato di duplice giurisdizione: la prima giurisdizione è quella dei tribunali ordinari, che hanno per oggetto quanto previsto nel vigente can. 1400 § 1; la seconda giurisdizione è quella del tribunale amministrativo (della sectio altera del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica), che ha per oggetto le controversie sorte da un atto della potestà amministrativa (cf. il vigente can. 1400 § 2). Il sistema inaugurato da Paolo VI è stato poi confermato e perfezionato nei disposti del can. 1445 § 2 e dell’art. 123 PB.
La ripartizione della giurisdizione
Il criterio di ripartizione è il seguente: che sia controverso un atto amministrativo singolare. Sono da ritenere atti amministrativi singolari le decisioni che promanano dalla potestà amministrativa o esecutiva: possono essere decreti, precetti o rescritti; possono avere la forma di decreti o di lettere; sono disposizioni date dall’autorità munita di potere esecutivo, che manifesta il suo volere in modo discrezionale, per un caso particolare, in dipendenza da leggi o da decreti generali, compresi quelli esecutivi. Ogni volta che una controversia verte su un atto amministrativo, la competenza a giudicare spetta esclusivamente alla (autorità amministrativa gerarchicamente superiore e) Segnatura Apostolica, così che se la controversia su un atto amministrativo fosse giudicata da un tribunale ordinario (diocesano, interdiocesano, rotale), la decisione è nulla di nullità insanabile per incompetenza assoluta (cf. can. 1620, 1°).
Questa chiara ripartizione è stata recentemente oggetto di disputa (cf., per esempio, M.J. Arroba Conde, Ricorso alla Segnatura contro il rifiuto del libello da parte del decano della Rota Romana per indubbia incompetenza ex can. 1400 par. 2, in Aa.Vv., Quod iustum est et aequum, Fs. Z. Grocholewski, Poznań 2003, 126-133). La Segnatura Apostolica (come peraltro la Rota Romana) ritiene comunque nella sua comune giurisprudenza (cf., per esempio, decreto definitivo in una Ilerden., Iurium, coram Vallini, 28 aprile 2007, n. 22, prot. n. 37766/05 CA, in «Revista española de derecho canónico» 64 [2007] 747-774) che non è decisivo (ossia che è irrilevante) per la ripartizione di cui al can. 1400 § 2 il fatto che oggetto della controversia siano diritti soggettivi.
«vel ad tribunal administrativum»
La revisione del Codice sarebbe dovuto essere connotata dall’ampia evoluzione della innovazione paolina sia quanto all’ampliamento della competenza della giurisdizione amministrativa sia quanto all’istituzione di tribunali amministrativi locali. Questi ultimi furono previsti con un’apposita elaborata normativa processuale e poi espunti alla vigilia della promulgazione del Codice. Il sintagma «tribunal administrativum» è però rimasto nel Codice in due canoni: nel can. 1400 § 2 e nel can. 149 § 2. Tale residuo è di oscura interpretazione. Pare verosimile che alla sua origine vi sia una ragione di carattere psicologico: i tribunali amministrativi locali sono stati l’unica innovazione solennemente prevista nei Principia che il Codice in limine promulgationis ha cocentemente smentito e disatteso. Il Legislatore poteva temere una reazione negativa all’accoglienza del Codice di fronte a questa omissione clamorosa; avrebbe pertanto lasciato le due menzioni per significare che la questione non era chiusa, ma solo rimandata.
Baura, E., Discrimine tra la via amministrativa e la via giudiziale nella tutela dei diritti nei confronti dell’amministrazione ecclesiastica, in Aa.Vv., Studi in onore di Carlo Gullo, Città del Vaticano 2017, 3-25.
Montini, G.P., La giustizia amministrativa dal Concilio al Codice, in «Periodica de re canonica» 102 (2013) 641-677.
Montini, G.P., I tribunali amministrativi locali, in «Periodica de re canonica» 91 (2002) 313-359.
Rhode, U., Attività amministrativa svolta senza esercizio di potestà di governo, in «Periodica de re canonica» 106 (2017) 359-403.
Zuanazzi, I., La tutela dei diritti in tema di privilegio, in «Ius Ecclesiae» 23 (2011) 85-106.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 26; 30; 39-40; 45; 51; 41 (2009) 354; 10 (1978) 217-218.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.