Ecclesia iure proprio et exclusivo cognoscit:
1° de causis quae respiciunt res spirituales et spiritualibus adnexas;
2° de violatione legum ecclesiasticarum deque omnibus in quibus inest ratio peccati, quod attinet ad culpae definitionem et poenarum ecclesiasticarum irrogationem.
La Chiesa per diritto proprio ed esclusivo giudica:
1° le cause che riguardano cose spirituali e annesse alle spirituali;
2° la violazione delle leggi ecclesiastiche e tutto ciò in cui vi è ragione di peccato, per quanto concerne lo stabilirne la colpa ed infliggere pene ecclesiastiche.
Kraft eigenen und ausschließlichen Rechtes entscheidet die Kirche:
1° in Streitsachen, die geistliche und damit verbundene Angelegenheiten zum Gegenstand haben;
2° über die Verletzung kirchlicher Gesetze sowie über alle sündhaften Handlungen, soweit es dabei um Feststellung von Schuld und um Verhängung von Kirchenstrafen geht.
Can. 1553 § 1, 1° et 2°; SCConc Resol., 11 dec. 1920 (AAS 13 [1921] 262-268).
La competenza della Chiesa in ambito giudiziale quanto a materia oggetto di giudizio è una delle questioni più scottanti, soprattutto in rapporto alla competenza giudiziale dello Stato.
Alcune premesse
In primo luogo è di grande importanza tener conto dei concordati o di altre convenzioni stipulate, che possono dichiarare, allargare, ridurre, comporre e regolare la competenza della Chiesa in materia giudiziale sia in sé sia in rapporto allo Stato o agli Stati.
In secondo luogo non è rilevante per la determinazione della competenza giudiziale materiale della Chiesa che una certa materia sia regolata tramite la normativa civile canonizzata (cf., per esempio, can. 1290). Il fatto che la Chiesa per determinati settori, argomenti e materie legiferi assumendo la legislazione civile del luogo non determina che l’autorità giudiziale deputata a giudicare di quelle materie sia quella statale, anzi poiché la norma canonizzata è a tutti gli effetti una norma canonica (con contenuto mutuato dal diritto civile) il giudice naturale che giudicherà di quella materia sarà canonico.
In terzo luogo è degno di attenzione distinguere nella giurisprudenza canonica i casi nei quali la domanda di giustizia di fronte al giudice canonico è respinta in quanto è già pendente un giudizio in ambito civile: il fenomeno non può essere semplicemente letto quale riconoscimento della competenza giudiziaria statale; a volte è più semplicemente la constatazione che l’accesso di fatto al giudice civile in un caso ha costituito rinuncia all’azione di fronte al giudice canonico, da quest’ultimo poi constatata.
La competenza propria ed esclusiva
L’espressione usata (iure proprio et exclusivo) induce a ritenere che si tratti della delimitazione di competenza giudiziale nei confronti dello Stato.
In ambito non penale
La Chiesa giudica «de causis quae respiciunt res spirituales» (can. 1401, 1°).
Come si nota il Legislatore dà un criterio di individuazione della materia giudiziale, considerando il fine («quae respiciunt»), quello spirituale, appunto. Una spiegazione convincente si aveva nel can. 726 CIC17, che introduceva il Libro III De rebus: «Res de quibus in hoc libro agitur quaeque totidem media sunt ad Ecclesiae finem consequendum, aliae sunt spirituales, aliae temporales, aliae mixtae». Ciò significa che le res denominate spirituales quanto al fine («quae respiciunt») nel can. 1401, 1° [= can. 1553 § 1, 1° CIC17], possono essere quanto a natura spirituales, temporales o mixtae (can. 726 CIC17).
Res spirituales sono così in se stesse: i sacramenti, i sacramentali e gli uffici ecclesiastici; per connessione, ossia per il legame tra res temporales e spirituales: edifici sacri, esercizio del ministero, offerte e tributi; per destinazione: beni temporali o patrimoniali.
La Chiesa giudica pure «de causis quae respiciunt res […] spiritualibus adnexas» (can. 1401, 1°; cf. pure can. 1478 § 3). La dottrina porta quali esempi la legittimità dei natali, i legati pii, il diritto di precedenza in chiesa (cf. Sacra Congregatio Concilii, resolutio, 11 dicembre 1920, in AAS 13 [1921] 262-268) e la sepoltura ecclesiastica.
In ambito penale
La Chiesa giudica «de violatione legum ecclesiasticarum deque omnibus in quibus inest ratio peccati, quod attinet ad culpae definitionem et poenarum ecclesiasticarum irrogationem» (can. 1401, 2°).
Il criterio della distinzione oggettiva tra res spirituales e res temporales (queste ultime di competenza dello Stato) viene a sfumare soprattutto nella competenza su tutte le res, senza distinzione, sotto la formalità penale.
Quest’ultima precisa specificazione è resa nel testo attraverso due espressioni peculiari.
La prima («in quibus inest ratio peccati») è tradizionale e risale alla decretale Novit ille di Innocenzo III indirizzata ai vescovi di Francia (cf. c. 13, X, de iudiciis, II, 1). Il can. 2198 CIC17 così spiegava: «[…] delictum quod unice laedit legem societatis civilis, iure proprio […] punit civilis auctoritas, licet etiam Ecclesia sit in illud competens ratione peccati […]». L’altra («quod attinet ad culpae definitionem») tende ad allargare l’ambito di competenza della Chiesa accennando, sembra, anche alla formalità morale o etica (cf. GS 76 e can. 747 § 2).
La competenza non più ripresa dal Codice vigente
Il Legislatore non rivendica più iure communi il privilegio del foro (cf. can. 1553 § 1, 3°; cf. pure cann. 120, 614, 680, 2341 CIC17), ovvero il diritto di chierici e religiosi a essere giudicati in ogni causa contenziosa o penale da un giudice ecclesiastico.
Il Legislatore non riprende più neppure la nozione di res mixtae (cf. can. 726 CIC17) o causae mixtae. La causa mixta è tale «quia habetur duplex elementum spirituale et temporale, vel duplex respectus […] quia constat elemento spirituali et temporali, adeo ut elementum temporale uti elementum iuridicum a spirituali separari nequeat: veluti contractus matrimonialis […]» (M. Lega – V. Bartoccetti, Commentarius in iudicia ecclesiastica iuxta Codicem Iuris Canonici, I, Romae 1938, 13).
Il Legislatore non riprende più neppure la nozione di causa mixti fori né la prevenzione in queste cause (cf. can. 1553 § 2 connesso con il can. 1554 CIC17). Una causa è, invece, mixti fori quando entrambe le potestà (Chiesa e Stato) sono competenti in quella materia: «In causis in quibus tum Ecclesia tum civilis potestas aeque competentes sunt, quaeque dicuntur mixti fori, est locus praeventioni» (can. 1553 § 2 CIC17). Un esempio di causa mixti fori era dichiarata la rivendicazione dei danni per la rottura della promessa di matrimonio (attuale can. 1062 § 2: cf. Pontificia Commissio ad Codicis canones authentice interpretandos, responsum, IV.2, 2-3 giugno 2018, in AAS 10 [1918] 345). La prevenzione è definita nel can. 1415 e dà al tribunale «ius […] causam cognoscendi, quod prius partem conventam legitime citaverit».
In conclusione: i confini della competenza giudiziale della Chiesa
In una problematica così ampia e senza prescritto codiciale si deve procedere con prudenza, tenendo presenti alcuni principi e criteri fondamentali.
Anzitutto si deve tener conto che la competenza giudiziale della Chiesa si estende secondo l’autocomprensione che la Chiesa ha di sé stessa, secondo la natura della stessa, secondo l’ecclesiologia del Concilio (cf., per esempio, LG 8). Non è metodologicamente corretto che la delimitazione dell’ambito di competenza della Chiesa sia determinata semplicemente a partire dalle pretese dello Stato.
Non sminuisce o smentisce la competenza giudiziaria della Chiesa il fatto o il diritto dello Stato a giudicare nelle stesse materie: semmai questo propone il problema ulteriore del coordinamento delle due giurisdizioni, non già il venir meno o l’elidersi di una.
Prevenzione?
In alcune pronunce, anche rotali, si ripropone ancor oggi l’istituto della prevenzione, previsto nel can. 1553 § 2 CIC17 ed omesso dal Codice vigente. A prescindere dalle perplessità, anzi dallo sfavore che nel diritto internazionale oggi circonda l’applicazione unilaterale della prevenzione o del principio “ne bis in idem”, si deve mettere in guardia contro un uso disinvolto della prevenzione: essa, infatti, suppone il riconoscimento (anche) della giurisdizione statale e può creare cessioni di giurisdizione da parte della Chiesa, pericolose se si considera la natura delle questioni coinvolte.
La Segnatura Apostolica, quando è stata coinvolta in questioni di conflitto di giurisdizioni, ha preferito da un lato distinguere i profili della questione, dall’altro valorizzare di più l’aspetto soggettivo della questione, dando rilievo e rilevanza processuale – laddove possibile – alla rinuncia implicita alla giurisdizione canonica del soggetto che si è rivolto prima alla giurisdizione civile sullo stesso oggetto.
Le cause di riconoscimento di titoli nobiliari sono «spiritualibus adnexae»?
Recentemente una sentenza del tribunale diocesano di Perugia sul riconoscimento di un titolo nobiliare ha innescato alcune decisioni emulatorie da parte di altri tribunali diocesani e una serie di commenti da parte di Autori, oltre che l’intervento dell’autorità ecclesiastica competente.
In due casi recenti si è rilevata la incompetenza assoluta dei tribunali a trattare della spettanza di titoli nobiliari e quindi la invalidità delle pronunce giudiziali per vizio insanabile, impugnabile da parte del promotore di giustizia. La ragione dell’intervento è nel fatto che le decisioni, prendendo a pretesto la competenza nella dichiarazione per documenta della filiazione, dell’agnazione e dell’adozione, in recto poi disponevano della asserita conseguente spettanza di titoli nobiliari, senza considerare che quest’ultimo riconoscimento è retto dal diritto nobiliare e nel caso, inoltre, riguardava titoli di natura secolare.
Il ricorso al magistrato civile come impedimento all’esercizio della giurisdizione ecclesiastica
Non raramente il fedele che intende impedire l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica ricorre all’autorità civile, in varie forme, ma con l’intento esplicito di turbare i giudici o chi interviene nel giudizio. Questa fattispecie è stata talvolta riferita al can. 1375 con le conseguenze penali del caso.
Dalla Torre, G., Le res mixtae “tradizionali” negli Accordi del Terzo Millennio, in «Ephemerides iuris canonici» 59 (2019) 445-467.
Prieto, V., Cose spirituali e annesse alle spirituali. La ‘ratio peccati’ (can. 1401), in «Ius Ecclesiae» 15 (2003) 39-77.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 34-35; 47; 41 (2009) 354; 10 (1978) 218.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.