§ 2. Provocatio tamen ad Sedem Apostolicam interposita non suspendit, praeter casum appellationis, exercitium iurisdictionis in iudice qui causam iam cognoscere coepit; quique idcirco poterit iudicium prosequi usque ad definitivam sententiam, nisi Sedes Apostolica iudici significaverit se causam advocasse.
§ 2. Tuttavia la richiesta interposta alla Sede Apostolica non sospende, salvo il caso di appello, l’esercizio della giurisdizione nel giudice che ha già cominciato a giudicare la causa; e questi può pertanto proseguire il giudizio fino alla sentenza definitiva, a meno che la Sede Apostolica non gli abbia comunicato di avere avocato a sé la causa.
§ 2. Die Anrufung des Apostolischen Stuhles unterbricht, außer im Fall der Berufung, jedoch nicht die Ausübung der Jurisdiktion des Richters, der die Sache schon in Angriff genommen hat; er kann deshalb das Verfahren bis zum Endurteil fortsetzen, außer der Apostolische Stuhl hat dem Richter zu erkennen gegeben, dass er die Sache an sich gezogen hat.
c. 1569 § 2; SA Litt. Circ., 13 dec. 1977 (AAS 70 [1978] 75).
«Art. 27 – § 1. Rota Romana est tribunal appellationis secundae instantiae concurrens cum tribunalibus de quibus in art. 25; ideo omnes causae a quolibet tribunali in prima instantia iudicatae possunt ad Rotam Romanam per legitimam appellationem deferri (cf. can. 1444, § 1, n. 1; Pastor bonus, art. 128, n. 1).
[…]
Art. 28 – Praeter legitimam appellationem ad Rotam Romanam ad normam art. 27, provocatio ad Sedem Apostolicam interposita non suspendit exercitium iurisdictionis in iudice qui causam iam cognoscere coepit» (Pontificium Consilium de Legum Textibus, instructio Dignitas connubii, 25 ianuarii 2005, in «Communicationes» 37 [2005] 23).
Il paragrafo secondo delimita (cf «tamen») gli effetti della provocazione in ambito giudiziario dichiarata solennemente nel paragrafo primo quale diritto di ogni fedele. Non è il diritto ad ottenere Non è il diritto alla sospensione L’eccezione La sospensione interviene
Questa delimitazione appare chiaramente necessaria in quanto la provocazione potrebbe cagionare seri danni (confusione, interruzioni, ritardi) al corso ordinario dell’amministrazione della giustizia in sede locale. Per quanto il pericolo di distorsioni sia reale e più volte denunciato (cf Communicationes 16 [1984] 228), ciò non può giustificare la limitazione del diritto dei fedeli ad appellare (e pure senza effetto sospensivo) alla Santa Sede: ciò infatti «potestatem Summi Pontificis graviter laederet» (ibid.).
La delimitazione in oggetto riguarda ovviamente tutte le provocazioni di cui al § 1, sia quelle rivolte direttamente alla persona del Romano Pontefice sia quelle dirette ad un organismo della Curia Romana.
Il paragrafo secondo nega anzitutto (anche se in modo indiretto) che la provocazione comprenda il diritto ad essere accolta dalla Santa Sede: vi è il diritto di ogni fedele di chiedere (provocatio), ma non c’è il diritto di ottenere quanto richiesto. Il paragrafo infatti termina con la previsione che la Santa Sede in un caso comunichi di aver avocato a sé la causa, il che corrispettivamente significa che la Santa Sede potrebbe comunicare di non aver avocato a sé la causa.
Il paragrafo secondo nega principalmente e direttamente che la provocazione alla Santa Sede comporti la sospensione in sede locale della causa in oggetto. Pertanto la provocazione alla Santa Sede non sospende:
– l’istanza di giudizio (cf can. 1517);
– «l’esecuzione di una sentenza contro la quale non siano previste o di fatto non siano state proposte impugnazioni che abbiano forza sospensiva» (Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, Lettere circolari, 13 dicembre 1977, in AAS 70 [1978] 75);
– i termini perentori previsti per l’introduzione di una causa o di un appello, o comunque per la posizione di un atto giudiziale.
Pertanto il giudice che sia stato informato della provocazione di una delle parti alla Santa Sede non solo «può proseguire» (poterit iudicium prosequi), ma deve proseguire nella trattazione della causa secondo la legge processuale.
Il paragrafo secondo pare porre un’eccezione alla mancata sospensione: «praeter casum appellationis». Il paragrafo sembra quindi affermare che la provocazione alla Santa Sede non sospende l’iter della causa, eccetto nel caso di appello.
La clausola di eccezione però appare oscura o almeno impropriamente posta. Infatti l’appello è sì una specie di provocazione, ma ha già una sua normativa propria circa la sua proposizione (cf. cann. 1630ss); inoltre ogni appello ha già in sé forza sospensiva (cf. can. 1638).
L’istruzione Dignitas connubii ha interpretato questa eccezione riferendola all’appello alla Rota Romana: « Praeter legitimam appellationem ad Rotam Romanam ad normam art. 27 […]» (art. 28).
Se la provocazione alla Santa Sede non provoca la sospensione della causa in corso, la sospensione interviene solo nel momento in cui sia legittimamente notificata al giudice la decisione della Santa Sede che la provocazione è stata accolta (ordinariamente ciò avverrà con la notificazione dell’avocazione della causa). Anzi, dopo la avocazione della causa l’incompetenza del giudice è assoluta (cf cann. 1405 § 1, 4°, 1406 § 2).
Bianchi, P., Il potere giudiziario del Romano Pontefice, in QDE 13 (2000) 64-82.
Grocholewski, Z., Il Romano Pontefice come giudice supremo nella Chiesa, in «Ius Ecclesiae» 7 (1995) 39-64.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 36; 48; 41 (2009) 354-355; 10 (1978) 220; 16 (1984) 53.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.