Tribunal ordinarium a Romano Pontifice constitutum appellationibus recipiendis est Rota Romana.
Il tribunale ordinario costituito dal Romano Pontefice per ricevere gli appelli è la Rota Romana.
Ordentliches Gericht des Papstes für die Annahme von Berufungen ist die Römische Rota.
c. 1598 § 1; NSRR 1; REU 109; SRR Nuove Norme, 25 maii 1969, art. 1 § 1.
Ioannes Paulus II, Constitutio apostolica Pastor bonus, 28 iunii 1988, art. 126, in AAS 80 [1988] 892
«Hoc Tribunal instantiae superioris partes apud Apostolicam Sedem pro more in gradu appellationis agit ad iura in Ecclesia tutanda […]».
Francesco, Costituzione apostolica Praedicate evangelium, 19 marzo 2022, art. 200 § 1, in «L’Osservatore Romano», 31 marzo 2022, I-XII
«Il Tribunale della Rota Romana funge ordinariamente da istanza superiore nel grado di appello presso la Sede Apostolica per tutelare i diritti nella Chiesa […]».
I canoni 1443-1444 presentano solamente la competenza principale della Rota Romana (è stata respinta la proposta di elencare esaustivamente la sua competenza: cf Communicationes 10 [1978] 246), dato che secondo il can. 1402 in quanto tribunale della Sede Apostolica è retto (anche) da norme peculiari (cf commento al can. 1402) e secondo l’art. 204 PE «è retto da una sua propria legge». Per quest’ultima ragione alcuni Autori ritengono superati (leggi: abrogati) questi canoni dalla legislazione peculiare (cf can. 360) ossia prima dalla costituzione apostolica Pastor bonus (in specie artt. 126-129) e poi dalla costituzione apostolica Praedicate evangelium (in specie artt. 200-203).
Tribunale del Papa, della Sede Apostolica o della Curia Romana?
Suscita meraviglia la traduzione tedesca, autorizzata dalla Conferenza episcopale, del canone che rende «Tribunal a Romano Pontifice constitutum» con la locuzione «Gericht des Papstes», assolutamente ingiustificata.
Più vicina al testo invece la traduzione tedesca proposta dal Münsterischer Kommentar: «Das vom Papst errichtete Gericht».
Tanto più ciò vale se si nota che nel can. 1444 § 2 ricorre l’espressione «suum tribunal» riferito alla persona del Romano Pontefice quale supremo giudice.
In realtà la inserzione nella Curia Romana rende la Rota Romana un tribunale con il quale il Romano Pontefice «suole» (cf can. 360) esercitare parte del suo potere giudiziario nella Chiesa universale determinato dall’ambito di competenza.
La denominazione
Nel Codice la denominazione esclusiva è «Rota Romana»: è stato abolito l’aggettivo «sacra» (cf Communicationes 10 [1978] 245). In documenti legislativi seguenti è stato aggiunto «Tribunal Rotae Romanae». È stato rifiutato che entrasse nella denominazione l’aggettivo «apostolicum».
D’altronde è innegabile che l’aggettivo «romana» spiega esaurientemente la natura vicaria della Rota nei confronti del Primato petrino, che ha la sua sede in Roma.
Tribunale di appello
Il canone si premura di indicare la funzione essenziale che giustifica l’esistenza della Rota Romana: è il tribunale nato per ricevere gli appelli.
A livello strutturale la natura della Rota Romana quale tribunale deputato all’appello comporta alcune annotazioni fondamentali.
In primo luogo, comporta il riconoscimento dello spessore ecclesiologico della Chiesa locale, quale realizzazione in un luogo e in un tempo della Chiesa diffusa dappertutto (Ecclesia universa) e della Chiesa universale (Ecclesia universalis). Proprio perché la Chiesa è locale in una sua dimensione essenziale, il munus iudicandi della Chiesa conosce una realizzazione locale, direttamente legata al vescovo diocesano (meglio sarebbe dire: scaturente direttamente dal vescovo diocesano), da cui prendono giustificazione i tribunali diocesani, o indirettamente a più vescovi diocesani, ed ecco i tribunali interdiocesani. Questo si riverbera nella incompetenza assoluta della Rota Romana a giudicare in prima istanza, ossia nella istituzionale riserva che il Legislatore ha voluto riconoscere ai tribunali locali di giudicare in prima istanza.
In secondo luogo, significa il forte riconoscimento della dimensione ineliminabilmente universale della Chiesa. La Chiesa locale non può essere pensata e realizzata senza la Chiesa universale: la prima non è semplicemente una partizione della seconda né la seconda una sovrastruttura della prima. Ciò si rileva e si realizza nell’appello attraverso la concorrenzialità positivamente regolata della Rota Romana con i tribunali locali di appello e nell’ultima parola data alla Rota Romana, cui legittimamente si approdi in una controversia già provvisoriamente risolta in sede locale.
A livello processuale la natura della Rota Romana quale tribunale ordinario d’appello ha alcune conseguenze di rilievo.
In primo luogo, il giudizio della Rota è anzitutto volto a confermare o infirmare la decisione già emessa in primo grado di giudizio, come è proprio di ogni tribunale di appello (cf can. 1639). In tal modo la Rota Romana non può strutturalmente prescindere dal giudizio dei giudici locali: essa ha di fronte a sé e deve comprendere e prendere posizione sul giudizio (valutazione dei principi giuridici, argomentazioni relative a questi; valutazione dei fatti e delle prove, argomentazioni relative a questi) emesso dai giudici locali.
In secondo luogo, la natura di tribunale di appello comporta per la Rota Romana di pronunciarsi sul fatto controverso e sui principi giuridici solo in quanto coinvolti nella soluzione del caso sottoposto a giudizio.
Per i tribunali locali sono da evidenziare alcune conseguenze della natura della Rota Romana quale tribunale di appello.
In primo luogo, comporta il riconoscimento proprio di un tribunale di appello. Ciò significa riconoscere l’intervento della Rota Romana non come un’incursione in un territorio privato proprio, bensì come una verifica del proprio giudizio compiuta ad un livello superiore.
In secondo luogo, comporta il riconoscimento della natura peculiare del tribunale di appello della Rota Romana: esso è forse propriamente l’unico tribunale di appello, se si considera tra le caratteristiche del tribunale di appello la (più alta) specializzazione dei giudici.
In terzo luogo, è nella natura delle cose che i giudici locali «siano curiosi» di conoscere l’esito in appello del giudizio sulle proprie decisioni appellate. L’espressione idiomatica («essere curiosi») significa che si tratta di un movimento spontaneo e naturale.
Montini, G.P., La Rota Romana e i tribunali locali, in La giurisprudenza della Rota Romana sul matrimonio (1908-2008), Città del Vaticano 2010, 41-61.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 45; 59; 41 (2009) 364; 10 (1978) 245.