§ 2. Episcoporum conferentia permittere potest ut etiam laici iudices constituantur, e quibus, suadente necessitate, unus assumi potest ad collegium efformandum.
§ 2. La Conferenza Episcopale può permettere che anche fedeli laici siano costituiti giudici; di essi, se la necessità lo suggerisce, uno può essere assunto a formare un collegio.
§ 2. Die Bischofskonferenz kann die Erlaubnis geben, dass auch Laien als Richter bestellt werden, von denen einer bei der Bildung eines Kollegialgerichtes herangezogen werden kann, soweit eine Notwendigkeit dazu besteht. 1
c. 1574 § 1; CM V § 1.
«È concessa la facoltà di assumere nei tribunali ecclesiastici un laico con le funzioni di giudice per la formazione del Collegio purché sia in possesso dei requisiti voluti dalla normativa canonica» (Conferenza Episcopale Italiana, Delibera n. 12, 23 dicembre 1983, in «Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana» 17 [1983] 210).
Premessa Il contesto La norma
Una normativa speciale attinente ai giudici laici nei collegi per i giudizi di dichiarazione di nullità del matrimonio è contenuta nel can. 1673 § 3 [MIDI]. Il commento di questa normativa speciale sarà condotto a suo luogo. Questa normativa speciale non inficia la normativa generale del can. 1421 § 2 che permane intatta per tutte le altre cause (separazione dei coniugi, penali, iurium ecc.).
Il contesto di questo paragrafo è costituito dal peculiare riconoscimento derivato dal concilio Vaticano II al laicato di una dignità e di una missione nella Chiesa.
Questo ha comportato sin da subito una forte pressione perché la presenza dei laici nell’amministrazione della giustizia fosse riconosciuta e incrementata: in tal modo possono essere laici i notai, i difensori del vincolo, i promotori di giustizia, gli assessori, e i giudici istruttori, oltre che gli avvocati e i periti.
In questo contesto si fece avanti anche la richiesta che i laici potessero assumere anche l’ufficio di giudici «giudicanti», ossia che esercitano la potestà giudiziale in senso proprio.
L’iniziale diniego nell’iter di riforma del Codice (cf Communicationes 38 [2016] 41), fu subito superato a motivo dell’innovazione introdotta da Paolo VI con il motu proprio Causas matrimoniales che prevedeva che le conferenze episcopali potessero permettere «in primo et secundo gradu constitutionem collegii ex duobus clericis et uno viro laico» (V § 1). Formula questa che fu assunta nel I schema del Codice (cf ibid., 41 [2009] 358), naturalmente in riferimento a tutte le cause, non solo a quelle matrimoniali.
A questo punto la formulazione del canone fu sottoposta ad una duplice contestazione.
La prima tendeva ad ampliare la presenza e la funzione dei laici e, dopo la consultazione, si ottenne che:
– i laici «non tantum ad actum sed permanenter iudices constituere, ex quibus unus assumatur ad efformandum collegium, firma tamen lege quod iudex unicus debet semper esse clericus» (ibid., 10 [1978] 231);
– anche le donne potessero essere costituite giudici e non solo gli uomini (cf ibid., 16 [1984] 54).
La seconda contestazione tendeva a eliminare la stessa possibilità che i laici potessero godere della potestà giudiziale sul presupposto che «potestas sacra originem habet sacramentalem» (cf ibid., 16 [1984] 54). La Commissione per la riforma del Codice non retrocedette e rispose argomentando che il presupposto è indimostrato (cf ibid.), gli autori citati (Schmalzgrueber) sono riportati in modo parziale e quindi inesatto (cf ibid., 54-55) e inoltre la storia dimostra diversamente (cf ibid., 10 [1978] 231). La contestazione fu portata (con analogo risultato negativo) anche nella Commissio Plenaria del 1981 (cf infra) e nel coetus ristretto che discusse l’ultima versione con il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II (cf infra). Analoga contestazione fu tentata anche durante l’iter di preparazione della istruzione Dignitas connubii.
È divisa in due parti.
Nella prima parte si prevede la possibilità che i laici siano costituiti giudici. Tale possibilità soggiace al permesso della conferenza episcopale.
Anche se gli Autori rilevano la identica espressione «iudices constituantur» nel primo e nel secondo paragrafo e ne traggono conclusioni sull’identità dei giudici laici, la forma del canone non appare del tutto lineare nella sua divisione in due paragrafi, senza alcun riferimento reciproco.
Anche la condizione del permesso della conferenza episcopale è stato contestato in sede di riforma del Codice (cf Communicationes 10 [1978] 231). La ragione del rifiuto di eliminare questa condizione («ut, quantum fieri possit, uniformitas habeatur in eadem regione») non convince del tutto perché la necessità del permesso fa in modo che, se negato, nessuna diocesi potrà nominare giudici laici, ma, se concesso, lascerà libera ogni diocesi di nominare o non nominare giudici laici secondo l’intendimento del singolo vescovo.
Nella seconda parte si prevede la possibilità che un giudice laico entri a far parte di un collegio giudicante. Tale possibilità soggiace alla condizione che la necessità lo suggerisca, non – si badi bene – che la necessità lo esiga. Non è specificato di quale necessità si tratti e quindi può riguardare ogni aspetto dell’esercizio della potestà giudiziale in un determinato tribunale diocesano.
Montini, G. P., L’amministrazione della giustizia nelle Chiese locali, con particolare riguardo ai territori di missione, in «Ius missionale» 12 (2018) 171-194.
Pagé, R., Juges laïcs et exercice du pouvoir judiciaire, in Unico Ecclesiae servitio. Fs G. Lesage, Ottawa 1991, 197-212.
Pompedda, M.F., Il giudice nei tribunali ecclesiastici: norma generale e caso concreto (funzione, competenza professionale, garanzie di indipendenza, giudici laici), in Aa.Vv., La giustizia nella Chiesa: fondamento divino e cultura processualistica moderna, Città del Vaticano 1997, 135-146.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 41; 52; 39 (2007) 307-308; 324-328; 39 (2007) 324-327; 41 (2009) 358; 10 (1978) 230-231; 16 (1984) 54-55; Plenaria, 35-97; 190-229; 493-495; Betti, U., In margine al nuovo codice di diritto canonico, in «Antonianum» (1983) 628-647; Id., Appunto sulla mia partecipazione alla revisione ultima del nuovo Codice di Diritto Canonico, in Aa.Vv., Il processo di designazione dei vescovi. Storia, legislazione, prassi. Atti del X Symposium canonistico-romanistico 24-28 aprile 1995. In onore del rev.mo P. Umberto Betti, o.f.m. già rettore della P.U.L., Città del Vaticano 1996, 27-45.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.
Notes:
Codex des kanonischen Rechtes, Kevelaer 20178, 625.
Anche in questo caso (cf can. 1421 § 1) le traduzioni in lingua tedesca si diversificano.
La traduzione ufficiosa (a cura della conferenza episcopale) usa «als Richter», mentre la traduzione del Münsterischer Kommentar usa «zu Richtern» (ad locum).
Il testo latino è sprovvisto di qualsiasi particella («laici iudices constituantur»).
Tra le traduzioni più diffuse, quelle di lingua tedesca sono le uniche che aggiungono tali specificazioni. ↩