Si acta exarata fuerint lingua tribunali superiori ignota, transferantur in aliam eidem tribunali cognitam, cautelis adhibitis, ut de fideli translatione constet.
Se gli atti furono scritti in una lingua sconosciuta al tribunale superiore, siano tradotti in lingua nota al medesimo usando le dovute cautele affinché consti che la traduzione è fedele.
Sind die Akten in einer dem Obergericht unbekannten Sprache abgefasst, so sind sie in eine andere diesem Gericht geläufige Sprache zu übersetzen, wobei Vorkehrungen zu treffen sind, dass eine verlässliche Übersetzung gewährleistet wird.
c. 1644 § 2.
La formazione del canone
Nell’iter di revisione del Codice in un primo tempo si decise di mantenere il can. 1644 § 2 CIC17 seguendo la formulazione del can. 159 di Sollicitudinem Nostram (cf Communicationes 38 [2006] 75). Con questo rinvio si recepiva un paragrafo apposito sulla traduzione degli atti destinati ad un Tribunale della Sede Apostolica: «In causis in quibus appellans, qui ad Sedem Apostolicam provocat, ad patrocinium gratuitum iam admissus fuerit, versio actorum fit ex officio a tribunali coram quo acta ipsa exarata sunt» (can. 159 § 2, 2° SN, in AAS 42 [1950] 39).
Dopo la consultazione tuttavia si preferì adottare una formulazione molto semplificata proposta da un organo consultato (cf ibid., 10 [1978] 264).
Il prescritto del canone
Ordinariamente il tribunale di appello conosce la lingua nella quale il tribunale inferiore redige gli atti: anzi tra i criteri per la designazione del tribunale di appello vi è la comunanza della lingua con il tribunale inferiore. La problematica è, pertanto, piuttosto limitata quanto a frequenza.
La questione soprattutto riguarda il Tribunale della Rota Romana. Anche in questo caso però la frequenza del problema è limitata dal fatto che:
– la Rota Romana ha stipulato convenzioni con alcune conferenze episcopali, prevedendo che non sia necessaria la traduzione degli atti;
– la Rota Romana può affidare la causa a Uditori che conoscono di fatto la lingua in questione nella causa specifica, sia perché è fra le lingue «hodie latius cognitae» (art. 16 PB) e ammesse nella Curia Romana, sia perché esistono Uditori che possiedono di fatto quella lingua e si può costituire un Turno, ancorché extra ordinem;
– la Segnatura Apostolica tra le cause che (con altre) giustificano la Commissione Pontificia ad un tribunale locale valuta anche l’onere economico (e la perdita di comprensione) che la traduzione degli atti comporta.
È, pertanto, da sconsigliare ogni traduzione operata dal tribunale inferiore, prima di conoscere le reali possibilità del tribunale di appello, al quale spetterà la scelta o di far tradurre gli atti ad opera del tribunale inferiore (come è suo diritto chiedere) oppure di disporre esso stesso la traduzione (come può decidere spontaneamente).
In definitiva, la traduzione degli atti da inviare al tribunale di appello è:
– obbligo del tribunale inferiore, che si accerterà della necessità della traduzione medesima consultandosi con il tribunale di appello;
– onere della parte appellante, stante sempre la normativa sulle spese e sul gratuito patrocinio.
Schöch, N., La disciplina da osservarsi nei tribunali (artt. 65-91), in Il giudizio di nullità matrimoniale dopo l’istruzione “Dignitas connubii”. Parte seconda: la parte statica del processo, Città del Vaticano 2007, 233.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 75; 101; 41 (2009) 373; 10 (1978) 264.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.