§ 1. Vitia, quibus sententiae nullitas haberi potest, in quolibet iudicii statu vel gradu excipi possunt itemque a iudice ex officio declarari.
§ 1. I vizi, per i quali si può avere la nullità della sentenza, possono essere eccepiti e anche dichiarati d’ufficio dal giudice in qualunque stadio o grado del giudizio.
§ 1. Prozessfehler, die die Nichtigkeit eines Urteils zur Folge haben können, können in jedem Stand des Verfahrens oder in jeder Instanz durch Einrede geltend gemacht und ebenso durch den Richter von Amts wegen festgestellt werden.
c. 1628 § 2.
Origine del prescritto Applicazioni del prescritto Una frequente e utile applicazione in appello
Il § 1 non trova precedente nel CIC17, se non del tutto parzialmente nei canoni che in quel Codice prevedevano che ex officio da parte del giudice (cf can. 1611; ora can. 1461) o su eccezione delle parti (cf can. 1628 § 2) dovesse essere sollevata la eccezione di incompetenza assoluta del giudice e dovesse essere dichiarata dallo stesso in ogni stato e grado del giudizio.
In una prima revisione dei canoni la normativa fu lasciata invariata (cf Communicationes 38 [2006] 70; 96; 41 [2009] 369; 370; 10 [1978] 256; 257).
Ma la ulteriore revisione dell’intero capitolo II («De ordine cognitionum»), in vista di una sua semplificazione, fu affidata ad un Consultore (cf Communicationes 10 [1978] 259) e si può presumere che il presente § 1 sia frutto di quella revisione.
L’importanza di questo prescritto è difficilmente esagerabile: si tratta di un prescritto fondamentale, soprattutto nella sua interpretazione e applicazione nella normativa esecutiva, nella giurisprudenza e nella prassi.
Il prescritto è per sé tradizionale e sorretto da una forza logica e pratica notevole.
Quando al giudice venga opposta l’eccezione di nullità di un atto o egli stesso (ex officio) avverta che un atto è nullo, e che la nullità di quell’atto comporterà la nullità della sentenza verso la quale il processo, com’è nella natura delle cose, si sta dirigendo e finirà, ebbene in questo caso il giudice può [= ha la competenza e perciò deve] dichiarare la nullità di quell’atto.
Si può sostenere che si tratti di un principio di economia processuale: perché trascurare la nullità di un atto, procedere alla decisione giudiziale definitiva (sentenza) per poi essere costretti da un’impugnazione, per esempio, a dover dichiarare nulla la sentenza e con essa tutto il processo? Non è forse meglio fermarsi in tempo, dichiarare la nullità di quell’atto e poi procedere sicuri verso una sentenza inattaccabile?
Questa è la ratio del prescritto.
L’attenzione peculiare da avere nella lettura del prescritto è che quando esso nomina i «vitia» non si riferisce solo ai motivi di nullità di un atto processuale interno all’istanza che si sta svolgendo, ma si estende anche ai «vitia» di una precedente decisione giudiziale che, se viziata da nullità (e non sanata), da essa «sententiae [proximae futurae] nullitas haberi potest» (can. 1459 § 1).
Da qui si comprende la dilatazione dell’applicazione del prescritto , come peraltro appare dalle due menzioni in DC:
– «De querela nullitatis per modum exceptionis vel ex officio ad normam art. 77, § 1 [= can. 1459 § 1] proposita videt iudex coram quo pendet causa» (art. 275 DC);
– «[…] causae […] de querela nullitatis per modum exceptionis vel ex officio ad normam art. 77, § 1 [= can. 1459 § 1] proposita tractantur secundum artt. 217-225, 227 de causis incidentibus (cf. can. 1627)» (art. 277 § 1 DC).
I «vitia» assumibili nell’eccezione di cui al § 1 fanno riferimento ai vizi di nullità della sentenza di cui ai cann. 1620 e 1622, perciò anche per vizi che sarebbero poi sanabili.
Non è raro che il tribunale di appello, ricevuta una causa rilevi che nella sentenza di grado precedente e oggetto di appello, si è incorsi in un errore che comporta la nullità della sentenza stessa. Quid faciendum? Restituire la sentenza al primo grado non è possibile; continuare nel grado di appello è inutile perché la sentenza futura sarà nulla in quanto si appoggerà (deriverà) da una sentenza (atto) nulla; la soluzione è appunto l’applicazione del can. 1459 § 1 che rende competente il tribunale di appello a giudicare della nullità della sentenza di grado precedente: se risulterà nulla, gli atti saranno restituiti al tribunale di grado precedente perché – positis ponendis et si et quatenus – ripeta il processo; se non risulterà nulla il tribunale di appello potrà procedere sicuro nel trattare il processo in grado di appello. Cf al riguardo due interventi della Segnatura Apostolica riportati in Ius communionis 6 (2018) 395-396; 397-401.
Panizo Orallo, S., Al servicio de la mejor justicia. Comentario a dos Decisiones de la Signatura Apostólica, in «Ius communionis» 6 (2018) 403-412.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 70; 96; 41 (2009) 369; 10 (1978) 256; 259.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.