§ 1. Christifideles omnes, in primis autem Episcopi, sedulo annitantur ut, salva iustitia, lites in populo Dei, quantum fieri possit, vitentur et pacifice quam primum componantur.
§ 2. Iudex in limine litis, et etiam quolibet alio momento, quotiescumque spem aliquam boni exitus perspicit, partes hortari et adiuvare ne omittat, ut de aequa controversiae solutione quaerenda communi consilio curent, viasque ad hoc propositum idoneas ipsis indicet, gravibus quoque hominibus ad mediationem adhibitis.
§ 3. Quod si circa privatum partium bonum lis versetur, dispiciat iudex num transactione vel arbitrorum iudicio, ad normam cann. 1713-1716, controversia finem habere utiliter possit.
§ 1. Tutti i fedeli, ma in primo luogo i Vescovi, s’impegnino assiduamente, salva la giustizia, perché nel popolo di Dio siano evitate, per quanto è possibile, le liti e si compongano al più presto pacificamente.
§ 2. Il giudice sul nascere della lite ed anche in qualunque altro momento, ogni volta che scorga qualche speranza di buon esito, non lasci di esortare le parti e di aiutarle a cercare di comune accordo un’equa soluzione della controversia, e indichi loro le vie idonee a tal proposito, servendosi eventualmente anche di persone autorevoli per la mediazione.
§ 3. Che se la lite verta sul bene privato delle parti, il giudice veda se con la transazione o il giudizio arbitrale, a norma dei cann. 1713-1716, possa concludersi vantaggiosamente.
§ 1. Alle Gläubigen, vor allem aber die Bischöfe, sollen eifrig bemüht sein, dass Rechtsstreitigkeiten im Gottesvolk ohne Beeinträchtigung der Gerechtigkeit nach Möglichkeit vermieden und baldmöglichst friedlich beigelegt werden.
§ 2. Wann immer der Richter irgendeine Aussicht auf Erfolg erkennt, soll er es zu Beginn eines Rechtsstreites und auch zu jedem anderen Zeitpunkt nicht unterlassen, die Streitteile zu ermuntern und ihnen behilflich zu sein, dass sie in gemeinsamer Überlegung für eine der Billigkeit entsprechende Beilegung des Streites sorgen; er soll ihnen dazu geeignete Wege aufzeigen und sich auch angesehener Personen zur Vermittlung bedienen.
§ 3. Wenn der Rechtsstreit um das private Wohl der Parteien geht, soll der Richter erwägen, ob der Streit nützlicherweise durch Vergleich oder Schiedsspruch gemäß cann. 1713-1716 beendet werden kann.
§ 1: c. 1925 § 1
§ 2: c. 1925 § 2; NSSR 75 § 1.
§ 3: c. 1925 § 1.
Il canone 1925 che introduceva nel previgente Codice il capitolo I De transactione del titolo XVIII De modis evitandi iudicium contentiosum si è venuto progressivamente allargando durante la revisione del Codice fino a divenire adatto ad introdurre il titolo III del vigente Codice De disciplina in tribunalibus servanda ed in specie il capitolo I De officio iudicum et tribunalis ministrorum. Dovere generale (§ 1) Il dovere del giudice (§ 2) La transazione e il giudizio arbitrale
La cancellazione, non del tutto spiegabile, da parte del MIDI del can. 1676, comporta la assunzione di valenza generale del can. 1446 per le cause di nullità matrimoniale (cf d’altronde art. 65 § 1 DC). Per il processo contenzioso orale vige il can. 1656, che rimanda al can. 1446 § 2. Per l’ambito amministrativo vige il can. 1733. Per il processo penale funzione in parte analoga al can. 1446 svolge il can. 1718, che rimanda al can. 1341.
Che possano nascere liti, ossia controversie, nella Chiesa è cosa naturale, inevitabile, proprio per la natura stessa della Chiesa (cf LG 8).
Ciononostante le liti possono essere a volte evitate o, se non è possibile, possono trovare una composizione rapida (quam primum) e pacifica (ossia senza che il confronto giudiziale sia condotto sino alla decisione definitiva del giudice che si impone ai contendenti).
L’evitare la lite o anche la stessa composizione rapida e pacifica trovano il loro limite nella giustizia (salva iustitia) perché né l’uno né l’altra possono giustificare o favorire un sopruso, a meno che gli interessati, consapevolmente e liberamente, accettino di soggiacere ad una eventuale ingiustizia, che riguarda solo la loro persona e i cui effetti non ricadano anche su terzi, ma solo su di loro stessi.
Dovere di tutti i fedeli e in modo peculiare del vescovo è di impegnarsi assiduamente perché, nel limite della giustizia, si evitino le liti e si compongano rapidamente e pacificamente. Si noti che il dovere non attiene all’invito a soggiacere neppure volontariamente all’ingiustizia: questo attiene – semmai – ad altre istanze e nei limiti sopra indicati.
Il dovere del giudice è più ristretto di quello generale (cf § 1), sia perché si riferisce al giudizio sia perché non può compromettere né rischiare di compromettere la sua imparzialità nel giudicare.
Il primo si evidenzia nel fatto che il giudice può intervenire già in limine litis, ma comunque non prima. «In limine litis» significa alla presentazione del «libellus litis introductorius». Non è necessario attendere che il libello sia ammesso né tantomeno che la parte convenuta sia formalmente citata per la contestazione della lite: è una delle rare fattispecie nelle quali il giudice può coinvolgere le parti prima ancora della loro costituzione quali parti.
Non cessa comunque il dovere del giudice con il prosieguo del processo, ma permane fino alla vigilia della sentenza definitiva a due condizioni:
– che scorga qualche speranza di successo;
– che non minacci la sua imparzialità o anche solo l’immagine della sua imparzialità: rimandare atti processuali, quali, per esempio la sentenza definitiva, per proporre soluzioni eque di comune accordo, può rappresentare un’ingiustizia o apparire strumentale.
Il secondo limite del dovere del giudice riguarda il fatto che non potrà in prima persona adoperarsi per un’equa soluzione della controversia, ma:
– esortare le parti a cercarla di comune accordo;
– aiutare le parti a cercarla di comune accordo;
– indicare i modi per trovarla di comune accordo;
– proporre, se del caso, persone autorevoli con l’aiuto delle quali cercarla di comune accordo.
Se la lite non coinvolga il bene pubblico e non coinvolga il bene privati di altri, oltre alle parti, come, per esempio, figli, fedeli, alunni (cf can. 1715 § 1), due modi per evitare il giudizio sono il ricorso alla transazione o l’affidamento della controversia al giudizio di uno o più arbitri (cf can. 1713).
Quale sia l’azione del giudice in questo contesto non è detto esplicitamente: il paragrafo si limita ad imporre al giudice di esaminare attentamente (dispiciat) se ci sono le condizioni nel caso perché il ricorso alla transazione o l’affidamento agli arbitri sia utile. In entrambi i casi la condizione da valutare attentamente è se si possa giungere all’accordo delle parti su tali modi di evitare il giudizio.
In caso affermativo, ossia se il giudice avrà intravisto una possibilità di accordo tra le parti, non potrà che limitarsi a informarle della natura e conseguenze degli strumenti giuridici in oggetto ed esortarli ad accedervi. Nient’altro.
Pêgd-Wêndé, W.B., Le principe de conciliation dans les causes matrimoniales. Étude du canon 1446, Madrid 2017.
In ordine cronologico
Communicationes 39 (2007) 296; 41 (2009) 365; 10 (1978) 248-249.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.