Qui causae interfuit tamquam iudex, promotor iustitiae, defensor vinculi, procurator, advocatus, testis aut peritus, nequit postea valide eandem causam in alia instantia tamquam iudex definire aut in eadem munus assessoris sustinere.
Chi è intervenuto in una causa come giudice, promotore di giustizia, difensore del vincolo, procuratore, avvocato, teste o perito, non può in seguito validamente definire la stessa causa in altra istanza come giudice o svolgere in essa la funzione di assessore.
Wer an einem Verfahren als Richter, Kirchenanwalt, Bandverteidiger, Prozessbevollmächtigter, Anwalt, Zeuge oder Sachverständiger beteiligt war, kann später in derselben Sache in einer weiteren Instanz nicht gültig als Richter Entscheidungen treffen oder das Amt eines Beisitzers wahrnehmen.
cc. 1571, 1613 § 1.
Il can. 1447 intende direttamente promuovere l’imparzialità dei ministri del tribunale prescrivendo una rigida distinzione degli uffici che essi possono ricoprire all’interno della medesima causa («eandem causam») in gradi diversi («in alia instantia»). In tal modo un’altra istanza di giudizio è veramente «altra» rispetto alle precedenti, e ciò in forza di persone «nuove» rispetto a quelle che hanno agito nelle precedenti. Normativa del can. 1447 L’estensione del can. 1447 nell’art. 66 DC Nella medesima causa
Questa intenzione diretta del canone è da tenere rigorosamente separata dalla normativa che riguarda la incumulabilità di uffici che una persona può ricoprire in due tribunali gerarchicamente connessi, ossia legati in ragione dell’appello, o anche all’interno di un tribunale (cf art. 36 DC). Molti ritengono, invece, che, una volta osservato il can. 1447, uno stesso ministro possa assumere nello stesso tribunale, nel tribunale di appello o in un altro tribunale, altri uffici, sia uguali sia diversi. Ma è di indiscussa evidenza che di fatto l’imparzialità del ministro del tribunale è messa seriamente in pericolo da questa cumulazione di uffici: la partecipazione a uffici diversi può ingenerare una mentalità pragmatica che non favorisce l’esercizio diligente e coscienzioso (in coscienza) del singolo ufficio; la partecipazione all’organico di più tribunali connessi per l’appello non consente quella distanza da coloro che esercitano la giurisdizione sulla medesima causa. Su tutto questo vige l’art. 36 DC.
Il diritto che sancisce l’accesso a un altro giudizio (tramite l’appello) ne tutela la reale alterità e viene declinato specificatamente nel can. 1447, che stabilisce una nullità insanabile (cf «valide») della sentenza (cf can. 1620, 2°), come se si trattasse di un’incompetenza assoluta che concerne il giudice.
Chi è già intervenuto in un giudizio, ha già espresso la propria convinzione e pertanto può non essere imparziale in una nuova considerazione del caso.
Dal momento che il can. 1447 stabilisce una nullità («valide») della sentenza definitiva, è di stretta interpretazione. Ciò significa che a norma del can 1447 la sentenza è nulla se il giudice:
– in una istanza è intervenuto («interfuit»): non si ritiene che comporti la nullità (o configuri questa fattispecie) la nuda nomina alla quale non sia seguita alcuna attività processuale che la nomina comportava;
– quale
* giudice,
* promotore di giustizia,
* difensore del vincolo,
* procuratore,
* avvocato,
* teste,
* perito;
– e in un’altra istanza ha definito la causa, ossia ha emesso come giudice unico o nel collegio giudicante la sentenza definitiva; non si ritiene che comporti la nullità la partecipazione al collegio che termini prima della decisione della causa oppure la definizione di una causa incidentale o interlocutoria.
Non comporta la nullità, ovviamente, la interdizione, pure sotto pena di nullità («valide»), di «in eadem [alia istantia] munus assessoris sustinere», e ciò per il fatto che l’invalida assunzione e svolgimento dell’ufficio di assessore non inficia di nullità la pronuncia definitiva del giudice unico. È caduta durante l’itinerario di codificazione la aggiunta dell’uditore (cf Communicationes 41 [2009] 365-366); 10 [1978] 250).
DC ha inteso di intervenire sul testo e la normativa di questo prescritto, pur essendo noto che una istruzione, ed in specie DC, non ha forza di legge e, pertanto, non può costituire leggi irritanti e inabilitanti (cf can. 10). La ragione formale che ha permesso a DC di intervenire è stata la convinzione di poter interpretare il prescritto del can. 1447 come se a fortiori comprendesse (dovesse necessariamente comprendere per nesso logico invincibile) anche il caso in cui «nella medesima istanza» qualcuno fosse intervenuto prima come difensore del vincolo, promotore di giustizia, procuratore, avvocato, teste o perito, e poi avesse definito la causa come giudice o fosse intervenuto come assessore (cf art. 66 § 2 DC).
La modalità di intervenire sul can. 1447 scelta dalla istruzione è stata la seguente.
Nel § 1 dell’art. 66 riprendere il can. 1447 nella forma che aveva nel can. 1571 CIC17, come ampliato nel can. 35 SN, secondo la prima formulazione nell’iter di revisione del Codice (cf Communicationes 38 [2006] 39; 51), ossia stabilire l’incompatibilità irritante del giudice e dell’assessore se già aveva esercitato la funzione di giudice in un’altra istanza.
Nel § 2 dell’art. 66 stabilire l’incompatibilità irritante del giudice e dell’assessore se già aveva esercitato le funzioni indicate nel can. 1447 nella stessa istanza (novità) o in un’altra istanza (come stabilito nel can. 1447).
La stessa origine del can. 1447 può aver favorito questa estensione, in quanto nel CIC17 una sorta di incompatibilità (sospetto) era stabilita se il giudice aveva esercitato le funzioni di avvocato e di procuratore (cf can. 1613 § 1 CIC17), poi estesa – secondo l’art. 128 § 2 SN – alle funzioni di teste e perito, anzi anche a quelle di promotore di giustizia e difensore del vincolo (cf Communicationes 38 [2006] 64; 92), poi unificata nel canone sull’incompatibilità propria (cf ibid., 41 (2009) 365-366).
L’incompatibilità personale vige solo se si tratta di interventi della medesima causa, ossia se la causa è identica, ossia se identiche sono le parti, petitum e causa petendi. L’incompatibilità è infatti di stretta interpretazione (cf can. 18).
Non concerne la medesima causa e quindi non provoca incompatibilità, per esempio, il prescritto che preveda che lo stesso giudice (= tribunale) veda della querela di nullità (cf can. 1621) o della domanda di restitutio in integrum (cf can. 1646 § 1). È stata comunque respinta perché superflua la clausola che si voleva inserire per fare salvi questi prescritti (cf Communicationes 10 [1978] 250).
Daneels, F., De tutela iurium subiectivorum: quaestiones quaedam quoad administrationem iustitiae in Ecclesia, in Pontificium Consilium de Legum Textibus Interpretandis, Ius in vita et in missione Ecclesiae. Acta Symposii Internationalis Iuris Canonici occurrente X anniversario promulgationis Codicis Iuris Canonici diebus 19-24 aprilis 1993 in Civitate Vaticana celebrati, Città del Vaticano 1994, 175-188.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 39; 51; 64; 92; 41 (2009) 365-366; 10 (1978) 250-251.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.