§ 1. In negotio quod privatorum solummodo interest, iudex procedere potest dumtaxat ad instantiam partis. Causa autem legitime introducta, iudex procedere potest et debet etiam ex officio in causis poenalibus aliisque, quae publicum Ecclesiae bonum aut animarum salutem respiciunt.
§ 2. Potest autem praeterea iudex partium neglegentiam in probationibus afferendis vel in exceptionibus opponendis supplere, quoties id necessarium censeat ad vitandam graviter iniustam sententiam, firmis praescriptis can. 1600.
§ 1. In un affare che interessa soltanto privati, il giudice può procedere solo ad istanza della parte. Ma se la causa fu legittimamente introdotta, il giudice può e deve procedere anche d’ufficio nelle cause penali e nelle altre cause che vertano sul bene pubblico della Chiesa o sulla salvezza delle anime.
§ 2. Il giudice inoltre può supplire la negligenza delle parti nell’addurre le prove o nell’opporre eccezioni, ogniqualvolta ritenga che ciò sia necessario ad evitare una sentenza gravemente ingiusta, ferme restando le disposizioni del can. 1600.
§ 1. In einer Streitsache, die ausschließlich das private Wohl angeht, darf der Richter nur auf Antrag einer Partei tätig werden. Nachdem aber ein Prozess rechtmäßig eingeleitet worden ist, kann und muss der Richter in Strafsachen und jenen Sachen, die das kirchliche Allgemeinwohl oder das Seelenheil betreffen, auch von Amts wegen tätig werden.
§ 2. Darüber hinaus aber kann der Richter, unbeschadet der Bestimmungen von can. 1600, bei Nachlässigkeit der Parteien beim Beschaffen von Beweisen oder beim Vorbringen von Einreden ergänzend tätig werden, wann immer er dies zur Vermeidung eines schwer ungerechten Urteils für notwendig erachtet.
§ 1: c. 1618.
§ 2: c. 1619; SN can. 134 § 1.
Il canone tratta del potere di iniziativa del giudice. Nelle cause di bene privato Nelle cause di bene pubblico Le cause di cui al § 2 La supplenza di cui al § 2 Discrezionalità del giudice
Se l’introduzione di qualsiasi causa è lasciata alle parti e il giudice non può mai assumere da sé solo una causa (cf can. 1620, 4°), ma deve in ciò dipendere dall’azione (o meglio: petizione) degli interessati e legittimati, il prosieguo della causa, soprattutto nella fase istruttoria, vede il giudice assumere obblighi e facoltà diversi a seconda che le cause siano tra quelle che riguardano il bene pubblico (come quelle matrimoniali e penali) o tra quelle che interessano solo i privati.
Naturalmente il canone ha carattere generale e lascia intatti i singoli prescritti nei quali si attribuisce al giudice di procedere d’ufficio o comunque a prescindere dall’istanza delle parti.
Il giudice può procedere solo ad instantiam partis, proprio come l’iniziativa della causa è stata della parte. Prevale in questo caso il principio dispositivo, ossia che il giudice giudica secondo quanto disposto ed apportato dalle parti.
La determinazione di queste cause nel canone è piuttosto complicata («in causis poenalibus aliisque, quae publicum bonum Ecclesiae bonum aut animarum salutem respiciunt»), ma si ritiene che il Legislatore voglia qui indicare le cause che altrove più semplicemente ha denominato causae quae bonum publicum respiciunt. La diversa denominazione dipende probabilmente dalle fonti del canone (cf can. 1618 CIC17) e dalla mancata omogeneizzazione del testo.
In queste cause di bene pubblico il giudice è tenuto («potest et debet») a procedere e ad agire anche in assenza di richiesta delle parti, cioè ex officio, in quanto prevale senz’altro il principio inquisitorio e la ricerca della verità e della giustizia.
Non è immediatamente chiaro a quali cause si riferisca il § 2, se cioè solo alle cause di bene privato, correggendo o meglio integrando in tal modo il disposto del § 1 (prima parte), oppure si riferisca anche alle cause di bene pubblico, aggiungendo quanto qui disposto al prescritto del § 1 (seconda parte).
Convince a questo riguardo la soluzione suggerita dall’art. 71 DC, ossia:
– il § 2 indica una possibilità («potest») per il giudice nelle cause di bene privato;
– il § 2 costituisce un’esemplificazione efficace di ciò che il giudice può e deve fare esercitando il suo potere d’ufficio (cf § 1 seconda parte) nelle cause di bene pubblico.
La supplenza è limitata da tre elementi:
a) l’oggetto deve riguardare la presentazione di prove e di eccezioni: si pensi a una parte che non adduce un teste più volte menzionato nelle escussioni di altri testimoni come fonte di conoscenza dell’oggetto della causa; oppure a una parte convenuta che non eccepisce l’intervenuta prescrizione dell’azione;
b) la supplenza è funzionale ad evitare una sentenza gravemente ingiusta, che darebbe cioè poi, anche diventata res iudicata, diritto alla domanda di restitutio in integrum; in ciò il § 2 recepisce quanto previsto nel can. 134 § 1 SN, allargando la supplenza alle cause di bene privato (cf Communicationes 38 [2006] 67-68);
c) la supplenza non infranga il limite di produzione delle prove dato dal can. 1600, che le limita appunto dopo la conclusione in causa. Un ulteriore limite, dato dalla pubblicazione delle testimonianze, è stato soppresso con la scomparsa dell’istituto medesimo della pubblicazione delle testimonianze (cf can. 1570).
Entrambe queste normative (§ 1 seconda parte: ex officio; § 2: supplenza) sono di delicata applicazione e affidate alla sensibilità giuridica del giudice stesso.
Nel primo caso (§ 1, seconda parte) il giudice non potrà comunque procedere fino a rendere, per esempio, impossibile o incomprensibile un istituto giuridico come quello della perenzione oppure l’assoluta necessità dell’iniziativa di parte (cf, per esempio, art. 164 DC).
Nell’altro (§ 2) dovrà considerare con cautela la sua azione per non favorire una parte nella distinzione, spesso difficile, tra negligenza o imperizia (del patrocinio o della parte) e rinuncia a un proprio diritto istruttorio.
La discrezione nell’usare queste facoltà da parte del giudice è fondata anche sul fatto che il giudice ha a disposizione altri mezzi per favorire la parità processuale o impedire ingiustizie nel processo (cf, per esempio, nomina e rimozione dell’avvocato: cann. 1484 e 1487).
Per queste ragioni furono respinte due proposte che intendevano abrogare il canone e eliminare ogni restrizione per il giudice, al quale sarebbe stato consentito di agire liberamente nella costruzione del processo (cf Communicationes 38 [2006] 68 nota 1); nel respingere la proposta è stata anche addotta la ragione che una simile estensione del potere del giudice gli avrebbe procurato un «gravamen valde onerosum […] quod anxietates magnas in animo iudicis inferret» (ibid., 10 [1978] 253).
Bianchi, P., L’iniziativa del giudice nella ricerca delle prove, in Quaestiones selectae de re matrimoniali ac processuali, Città del Vaticano 2018, 93-118.
Robitaille, L., Through the Lens of “Dignitas connubii”: the Judge’s Active Role in Marriage Nullity Cases’, in «Studia canonica» 40 (2006) 137-183.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 67-68; 93-94; 41 (2009) 367; 10 (1978) 252-253.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.