Iudices et tribunalia curent ut quam primum, salva iustitia, causae omnes terminentur, utque in tribunali primae instantiae ultra annum ne protrahantur, in tribunali vero secundae instantiae, ultra sex menses.
Giudici e tribunali provvedano, salva la giustizia, affinché tutte le cause si concludano al più presto, di modo che non si protraggano più di un anno nel tribunale di prima istanza, e non più di sei mesi nel tribunale di seconda istanza.
Richter und Gerichte haben dafür Sorge zu tragen, dass ohne Beeinträchtigung der Gerechtigkeit alle Verfahren möglichst bald zu Ende geführt werden, so dass sie bei einem Gericht der ersten Instanz nicht über ein Jahr, bei einem Gericht der zweiten Instanz aber nicht über sechs Monate dauern.
c. 1620.
La letteratura sul prescritto di questo canone è vasta, ma sarebbe errato far convergere su di esso tutta la problematica inerente alla durata dei processi, che, invece, può emergere dalla considerazione complessiva di tutto il diritto processuale, parte statica e parte dinamica. Pur essendo le determinazioni temporali assolutamente teoriche e convenzionali, non sono inutili sotto i seguenti punti di vista: I rimedi alla violazione dei termini di durata delle cause sono di due tipi:
Il prescritto ha tre punti di riferimento:
– «quam primum»;
– «salva iustitia»: è un limite atemporale, perché è il fine del processo, che non può essere frustrato da alcuna esigenza di celerità (cf, per esempio, can. 1600 § 1, 3°);
– le determinazioni temporali del tempo massimo: un anno per la prima istanza; sei mesi per la seconda istanza (rispettivamente due anni e un anno nel can. 1620 CIC17; un anno e mezzo, e nove mesi in Communicationes 38 [2006] 69; 94).
– il vescovo Moderatore si rende conto che, finché la durata (media) delle cause si mantiene sopra il limite, permane non assolto il suo dovere grave in coscienza di «curare ut idonei ministri iustitiae pro suis tribunalibus apte et tempestive in iure canonico efformentur atque in foro iudiciali ad causas matrimoniales rite instruendas ac recte decidendas opportuna exercitatione praeparentur» (DC, prooemium; cf pure art. 33, 1° DC) ;
– il Vicario giudiziale e i giudici si rendono conto che non sono giunti allo standard richiesto dalla legge nel loro ufficio;
– chi deve giudicare in ambito penale (cf art. 75 § 1 DC), in ambito disciplinare (cf art. 75 § 2 DC) o in ambito contenzioso (cf art. 75 § 3 DC) ha un parametro oggettivo di riferimento.
I termini posti in questo canone non danno da sé soli diritto ad alcuna azione nei confronti di chicchessia.
Lungo l’iter di codificazione furono proposte clausole per rendere efficace il prescritto:
– «quodsi termini ita statuti non serventur, ratio statim reddenda est Supremo Tribunali Signaturae Apostolicae» (Communicationes 38 [2006] 68-69; poi «Sanctae Sedi»: ibid., 69; 94); poi espunta perché «perplures dixerunt nimis duram et onerosam esse» (ibid., 10 [1978] 253);
– «Si partes se gravatas putent a neglegentia iudicis, recurrere semper possunt ad Ordinarium» (ibid., 38 [2006] 141; cf pure 94); poi espunta «quia norma inefficax videtur» (ibid., 10 [1978] 253);
– «[…] hic posset poni norma relata in Art. 19 Instr. Provida Mater de substitutis qui tribui possunt Iudicibus, officialibus et ministris Tribunalis» (ibid., 38 [2006] 69), ma la proposta fu subito respinta per i dubbi di legittimità e di opportunità che sollevava (cf ibid.).
Si è lasciato perciò il canone così com’era nel CIC17 (cf can. 1620).
– dalle Relationes de statu et activitate Tribunalis che ogni anno ogni tribunale è tenuto ad inviare alla Segnatura Apostolica (cf art. 110 § 1 LP) la Santa Sede è informata dei tempi di durata delle cause in ciascun tribunale nel trattare le cause e formula di conseguenza rilievi e ammonizioni ogni anno ai singoli vescovi Moderatori;
– è diritto di ogni fedele rivolgersi al Sommo Pontefice e alla Segnatura Apostolica per denunciare ritardi nella trattazione delle cause e chiedere interventi. Questi interventi fanno parte dell’attività di vigilanza della Segnatura Apostolica (cf, per esempio, artt. 110 § 2; 111 § 1 LP).
Mamberti, D., “Quam primum, salva iustitia” (c. 1453). Celeridad y justicia en el proceso de nulidad matrimonial renovado, in «Ius communionis» 4 (2016) 183-201, oppure: “Quam primum, salva iustitia” (can. 1453). Celerità e giustizia nel processo di nullità matrimoniale rinnovato, in Studi in onore di Carlo Gullo, Città del Vaticano 2017, 645-659.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 68-69; 94; 140-141; 41 (2009) 367; 10 (1978) 253.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.