Minores et ii, qui rationis usu destituti sunt, stare in iudicio tantummodo possunt per eorum parentes aut tutores vel curatores, salvo praescripto § 3.
I minori e coloro che non hanno l’uso di ragione, possono stare in giudizio soltanto tramite i loro genitori o i tutori o i curatori, salvo il disposto del § 3.
Minderjährige und solche, die des Vernunftgebrauches entbehren, können, unbeschadet der Bestimmung von § 3, vor Gericht nur durch ihre Eltern, Vormünder oder Pfleger handeln.
c. 1648 § 1.
Instructio Dignitas connubii, art. 97 § 1:
Ii, qui rationis usu destituti sunt, stare in iudicio tantummodo possunt per curatorem.
Formazione del paragrafo Il prescritto del paragrafo
Il paragrafo corrisponde al can. 1648 § 1 CIC17 eccetto nella espressione «stare in iudicio» che esprime in modo più tecnico l’«agere et respondere» del Codice previgente, ossia l’esercizio personale dell’agire in giudizio, ossia di essere parte attrice (chi dà origine al processo con la sua iniziativa) e di essere parte convenuta (chi è chiamato dall’attore a rispondere alla azione messa in atto dall’attore stesso nel processo giudiziale).
Il paragrafo vigente introduce la clausola «salvo praescripto § 3»; si tratta non solo di un miglioramento dal mero punto di vista tecnico-giuridico, ma anche della chiarificazione, con il rimando, che il § 3 contiene una vera eccezione al § 1, ciò che non tutti sembravano riconoscere anche a causa delle diverse espressioni usate: «stare in iudicio» nel § 1; «agere et respondere […] sine parentum vel tutoris consensu» nel § 3 (cf Communicationes 10 [1978] 266).
Per i minorenni, a causa della debolezza della loro costituzione e della non piena discretio quanto ai diritti sostantivi e processuali in gioco nel giudizio, la personalità processuale, ossia l’esercizio personale dell’agire in giudizio, ha una regolamentazione propria, costituita appunto del can. 1478.
E di fatto il § 1 presume con presunzione invincibile («iuris ac de iure»), che il minorenne non possieda la discrezione sufficiente per agire e resistere in giudizio di persona, imponendo perciò che sia rappresentato in giudizio da una persona terza, che naturalmente goda della personalità processuale, ossia della capacità di comprendere le decisioni da prendere in giudizio.
Nel caso pertanto in cui il giudice riceva un libello introduttorio della lite o della causa sottoscritto da un minore o da un avvocato che abbia ricevuto il mandato da un minore, il primo esame che la normativa gli impone, ossia di verificare «se consta senza dubbio che all’attore manca la capacità legittima di stare in giudizio» (can. 1505 § 2, 2°), non richiede particolari approfondimenti sulle capacità intellettuali e discrezionali del soggetto minorenne: basta che il giudice constati che il soggetto è minorenne perché egli rigetti il libello per difetto di persona standi in iudicio. Lo stesso vale nel caso in cui il libello sia presentato avverso un minorenne, anche se provvisto di avvocato al quale egli abbia conferito il mandato.
Se il giudice non rilevasse la mancanza della personalità processuale e si addivenisse a sentenza dopo aver svolto il processo, la sentenza è nulla di nullità insanabile (cf can. 1620, 5°).
Stante questa preclusione al minorenne ad introdurre una causa giudiziale e a resistere in una causa giudiziale, il diritto si premura di prevedere le persone che possono rappresentare il minorenne nel caso di una causa giudiziale.
La prima persona abilitata a questa rappresentanza è il genitore (cf cann. 1478 § 1; 98 § 2).
In mancanza del genitore, la rappresentanza del minore è attribuita al tutore (cf cann. 1478 § 1 e 98 § 2).
Al genitore e al tutore spettano tutti i diritti processuali che competono all’attore o al convenuto nel processo giudiziale: essi possono (e, se del caso, devono) presentare il libello introduttorio della lite o della causa; costituirsi nella causa come parte convenuta; dare il mandato ad un avvocato e/o procuratore per lo svolgimento del processo; intervenire nel processo con azioni incidentali, eccezioni e ogni altra richiesta che spetti all’attore o al convenuto; proporre impugnazioni avverso la decisione giudiziale.
Nonostante questa dovizia di poteri di rappresentanza, non si può dimenticare che comunque il genitore e il tutore sono rappresentanti del minorenne, che rimane pur sempre l’attore o il convenuto, seppur necessitato ad avere una rappresentanza obbligatoria.
Montini, G.P., La difesa dei diritti di minori in giudizio (can. 1478 §§ 1-3), in QDE 32 (2019) 47-63.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 77; 102; 41 (2009) 374; 10 (1978) 265-266.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.