Tum procurator tum advocatus possunt a iudice, dato decreto, repelli sive ex officio sive ad instantiam partis, gravi tamen de causa.
Sia il procuratore sia l’avvocato possono essere rimossi dal giudice d’ufficio o ad istanza della parte con l’emanazione di un decreto, ciò tuttavia per una causa grave.
Prozessbevollmächtigter und Anwalt können vom Richter durch Dekret von Amts wegen wie auch auf Antrag einer Partei ihres Dienstes enthoben werden, jedoch nur aus schwerwiegendem Grund.
c. 1663; PrM 51.
Instructio Dignitas connubii, art. 109:
«Tum procurator tum advocatus possunt a praeside, dato decreto motivis suffulto, repelli sive ex officio sive ad instantiam partis, gravi tamen de causa.
Il canone trae pienamente la sua ragione dalla prassi degli albi di avvocati (e anche di procuratori) con i quali essi sono approvati dal vescovo Moderatore ad universitatem causarum. Ma può accadere che chi è approvato in forma generale, in una determinata causa appaia nocivo per l’amministrazione della giustizia: il canone provvede a ciò riconoscendo al giudice di poter respingere nel caso singolare sottopostogli il procuratore e l’avvocato. La causa grave La natura del provvedimento L’impugnazione
In questo modo la repulsio del procuratore e dell’avvocato si avvicina all’istituto della ricusazione, che non può essere applicato ai procuratori e avvocati. Si veda, a riprova, il tentativo di introdurre l’art. 31 § 2 del Codice di procedura civile vaticano che vietava in una causa di esercitare l’ufficio di procuratore o avvocato a chi avesse un legame di parentela con giudici, promotore di giustizia o difensore del vincolo (cf. Communicationes 38 [2006] 80, 105; 41 [2009] 376), poi cancellato con la seguente motivazione: «[I]lli qui interesse habent exceptionem suspicionis facere poss[u]nt contra talem advocatum vel procuratorem» (Communicationes 10 [1978] 269).
Il prescritto riguarda anche i procuratori e gli avvocati ex officio.
La causa della repulsio deve essere «grave», come è stato suggerito nella seconda fase di revisione (cf Communicationes 10 [1978] 271), innovando rispetto alla previsione di una causa «giusta» secondo il can. 1663 CIC17. Le ragioni di questa innovazione risiedono nel fatto che è comunemente ammesso che la repulsio del procuratore e dell’avvocato sia un provvedimento che incide profondamente in ambiti delicatissimi, quali la libera scelta fatta dalle parti di un proprio rappresentante e difensore di fiducia; le modalità di esercizio del diritto di difesa, strettamente legate, com’è facile intuire, con le concrete possibilità di esercizio dello stesso; l’imparzialità del giudice, che non può neppure all’apparenza essere oscurata da un provvedimento che oggettivamente affligge una parte, come la repulsio del procuratore e avvocato di una parte; il rapporto o contratto di lavoro instauratosi tra la parte e il proprio procuratore e avvocato.
Le gravi cause, richieste dal canone per la repulsio, si possono chiaramente identificare con tutte quelle che, anche senza grave colpa, rendono la funzione del procuratore e dell’avvocato nociva al processo o almeno inutile al suo svolgimento. Anche le condizioni di salute o di anzianità dell’avvocato e del procuratore possono entrare in gioco. Il riferimento per il giudizio nel caso non potrà che essere alla funzione intesa dall’ordinamento processuale canonico a carico del procuratore e dell’avvocato.
La natura del decreto con cui il giudice rigetta il procuratore e l’avvocato è amministrativa; naturalmente si tratta di un provvedimento che procede dalla potestà amministrativa connessa con la potestà giudiziale. Essa intende, infatti, tutelare il corretto svolgimento del processo che richiede un procuratore e un avvocato che siano in grado o in condizioni di adempiere correttamente i propri compiti e le loro funzioni. È il bene del processo e della causa in corso ciò che è tutelato dalla repulsio, non già, almeno direttamente, il bene comune né l’ordine pubblico né la deontologia del professionista.
Il respingimento riguarda la causa concreta in cui il procuratore e l’avvocato intervengono e li esclude dalla medesima causa. L’esclusione avrà operatività non solo per l’istanza in cui avviene il respingimento, ma pure per le istanze nei successivi gradi di giudizio della medesima causa: la repulsio, quindi, impegna pure i giudici superiori, che però potrebbero, ad normam iuris, revocare su istanza o d’ufficio il provvedimento.
Non pare legittima né corrispondente peraltro alla ratio legis l’esclusione del procuratore e dell’avvocato ad istanza terminata.
Non è ammissibile la sospensione del provvedimento di repulsio nel caso in cui esso sia soggetto ad impugnazione, appunto per una sua certa natura di provvedimento cautelare, ossia urgente e operante nella singola causa.
La questione fra tutte più complessa, anche per le scelte interpretative fortemente divaricate degli Autori, della giurisprudenza e degli stessi testi normativi, concerne la ricorribilità del decreto con cui il giudice abbia deciso la repulsio del procuratore e dell’avvocato.
Appare pacifico che il decreto di repulsio sia emanato dal preside del collegio e che avverso vi sia il diritto di ricorrere al collegio.
Circa il ricorso avverso la decisione del giudice unico o del collegio, vi è da sempre disparità di opinioni.
Nell’iter di codificazione per il Codice del 1917 apparve per un lungo periodo, fino alla vigilia della promulgazione del Codice, un paragrafo secondo del can. 1663 di quel Codice, che poi non è stato recepito. Esso recitava: «Contra iudicis decretum, quo advocatus aut procurator excluditur, non datur iuris remedium».
Ciò che sembrava chiuso nel silenzio del Codice del 1917 apparve nella istruzione Provida Mater che, nei processi matrimoniali, previde esplicitamente nel caso la possibilità di ricorso al vescovo: «salvo iure recursus ad Episcopum» (art. 51).
Il silenzio del Codice vigente sulla esplicita menzione della Provida Mater sembrava riportare la questione all’inizio, senonché il can. 1145 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, a fronte di un testo del canone analogo a quello del can. 1487 e in un contesto processuale analogo e perdipiù a fronte del can. 180 del motu proprio Sollicitudinem Nostram che riprendeva pedissequamente il can. 1663 CIC17, precisava esplicitamente: «et semper salvo recursu ad tribunal appellationis».
Ritorna al silenzio la istruzione per i processi matrimoniali (cf art. 109 DC).
La variegata e cangiante posizione dei testi normativi si rispecchia nella dottrina. Vi sono Autori che avverso il decreto di repulsio indicano la via dei ricorsi amministrativi; altri che prevedono la possibilità di accedere al tribunale di appello; altri negano l’appello, ma riconoscono alcune possibilità di ricorso.
Un recente decreto rotale si pronuncia a favore della ricorribilità al tribunale d’appello: decreto in una Reg. Aprutini seu Aquilana, Nullitatis matrmonii; Inc.: null. dec., coram Stankiewicz, 21 dicembre 2000.
Montini, G.P., Il giudice può respingere l’avvocato e il procuratore (can. 1487), in QDE 19 (2006) 295-317.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 79; 107; 41 (2009) 378; 10 (1978) 271.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.