§ 1. Vetatur uterque emere litem, aut sibi de immodico emolumento vel rei litigiosae parte vindicata pacisci. Quae si fecerint, nulla est pactio, et a iudice poterunt poena pecuniaria mulctari. Advocatus praeterea tum ab officio suspendi, tum etiam, si recidivus sit, ab Episcopo, qui tribunali praeest, ex albo advocatorum expungi potest.
§ 2. Eodem modo puniri possunt advocati et procuratores qui a competentibus tribunalibus causas, in fraudem legis, subtrahunt ut ab aliis favorabilius definiantur.
§ 1. È fatto divieto ad entrambi di trarre dalla propria parte la lite con denaro, oppure di pattuire per sé un emolumento esagerato o pretendendo una parte della cosa che è oggetto del litigio. Se lo facessero, il patto è nullo e potranno essere multati dal giudice con un’ammenda. L’avvocato inoltre può essere sospeso dall’ufficio, e, se sia recidivo, anche essere cancellato dall’albo degli avvocati da parte del Vescovo che presiede al tribunale.
§ 2. Allo stesso modo possono essere puniti avvocati e procuratori che, eludendo la legge, sottraggono ai tribunali competenti le cause perché siano definite da altri più favorevolmente.
§ 1. Beiden ist es verboten, die Streitsache der Partei abzukaufen oder sich vertraglich einen übermäßigen Vorteil oder einen Anteil am Streitobjekt sichern zu lassen. Wenn sie dies tun, ist die Vereinbarung nichtig und sie können vom Richter mit einer Geldstrafe belegt werden. Darüber hinaus kann ein Anwalt seines Dienstes enthoben werden und, wenn er rückfällig ist, von dem Bischof, der Gerichtsherr ist, aus der Anwaltsliste gestrichen werden.
§ 2. Auf gleiche Weise können Anwälte und Prozessbevollmächtigte mit Strafen belegt werden, die in betrügerischer Absicht Sachen den zuständigen Gerichten entziehen, damit sie von anderen Gerichten günstiger entschieden werden.
§ 1: c. 1665; PrM 54, 1°.
Instructio Dignitas connubii, art. 110, 2° et 4°:
«Advocati et procuratores vetantur: […]
2° sibi de immodico emolumento pacisci: quod si fecerint, pactio nulla est; […]
4° causas a competentibus tribunalibus subtrahere vel quomodocumque in fraudem legis agere».
Conferenza Episcopale Italiana, Norme circa il regime amministrativo dei Tribunali ecclesiastici italiani in materia di nullità matrimoniale, 7 giugno 2018, in Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana 52 (2018) 179-185:
«Art. 7 – Avvocati e procuratori
§ 7. Eventuali reclami delle parti contro l’operato degli avvocati e dei procuratori circa i costi del patrocinio, o circa le norme del diritto e le regole deontologiche, debbono essere presentati al Preside del Collegio giudicante. Questi, se riscontra che il reclamo ha fondamento, per il tramite del Vicario giudiziale deferisce la questione al Moderatore del tribunale per gli opportuni provvedimenti».
È un luogo comune che gli avvocati commettano abusi nell’esercizio del patrocinio, approfittandosi della buona fede e dell’affidamento dei loro clienti. È uno stereotipo del cui fondamento è lecito dubitare e che non si intende comunque avallare, sprovvisti come si è di elementi oggettivi sul fenomeno. Le fattispecie illecite Il paragrafo 2 Le qualificazioni sanzionatorie Il procedimento disciplinare
Ciò che è certo, invece, e rileva è il danno inferto al sistema processuale canonico da alcuni episodi di abuso, dai quali, generalizzando, si è giunti a condannare l’intero sistema, con effetti giuridici negativi sull’andamento della stessa attività giurisdizionale. La stessa comparsa dei cosiddetti Avvocati stabili (can. 1490) è frutto di questa fama.
La prima fattispecie del can. 1488 § 1 («emere litem») consiste nello scambio pattuito fra avvocato e cliente per cui l’avvocato, se vincerà la causa, avrà ciò che il cliente rivendica con l’azione giudiziaria, mentre al cliente l’avvocato darà altro (per esempio una somma di denaro).
La seconda fattispecie è la più sbandierata: si tratta dell’immodico emolumento; si configura quando fra avvocato e cliente si patteggia un emolumento eccessivo per le prestazioni. L’eccesso è facilmente determinabile se commisurato alle tariffe che devono essere stabilite a norma del can. 1649 § 1, 2°. Più difficile, ma comunque non impossibile, stabilire l’immodico emolumento in assenza di tariffe. L’illecito dell’immodico emolumento si configura anche nella (semplice) richiesta di immodico emolumento, nella redazione di una nota sprovvista della indicazione di quanto già versato nonché nella mancata attestazione di quanto dovuto di fronte al giudice competente. Si deve considerare che l’emolumento non si configura nel genere dei contratti (soggetti pertanto alla libera statuizione delle parti), ma assume rilievo pubblico. Per combattere e debellare questo fenomeno è di vitale importanza:
– stabilire e aggiornare le tariffe di cui al can. 1649 § 1, 2°;
– promulgare, pubblicare e pubblicizzare adeguatamente le medesime tariffe;
– procedere con efficacia di fronte ad accuse circostanziate e provate.
La terza fattispecie consiste nell’accordo fra avvocato e cliente per cui all’avvocato spetterà, in caso di vittoria, parte di quanto rivendicato dal cliente attraverso l’azione giudiziaria.
L’origine del paragrafo è un’iniziativa ex officio della Commissione per la revisione del Codice nel contesto della Plenaria «ut pro posse arceantur et severe corrigantur abusus sat frequentes» (Communicationes 16 [1984] 61). L’abuso che il can. 1488 § 2 intende reprimere è sufficientemente chiaro e grave, soprattutto considerando la serie di episodi incresciosi e abusi che si verificarono negli anni Settanta e cui fece seguito un’ampia gamma di reazioni e prese di posizione, tra cui in particolare l’intervento di Paolo VI: «Dobbiamo […] registrare con dolore la tendenza a strumentalizzare certe concessioni, motivate da situazioni ben circoscritte, per giungere ad una pratica evasione della legge processuale canonica, alla quale si è tenuti, e ciò spesso mediante l’artificiosa creazione di domicili o dimore stabili fittizi» (Allocuzione alla S. Romana Rota, 28 gennaio 1978, AAS 70 [1978] 183).
La formulazione del testo codiciale è però discutibile per almeno due ragioni. Anzitutto il can. 1488 § 2 ammette e riconosce, almeno di fatto, che nella Chiesa esistano tribunali più favorevoli e altri meno, mettendo in pericolo in tal modo la stessa meta dell’unità della giurisprudenza e i principi anche giuridico-dogmatici ad essa sottesi. L’altra ragione attiene alla clausola legis fraus, al raggiro della legge: la legge medesima infatti non obbliga a mantenere le condizioni che comportano di soggiacervi, ma obbliga finché ci sono le medesime condizioni. Pertanto scegliere, entro la legalità (per esempio, trasferendo un domicilio; accordandosi con l’altra parte per decidere chi sarà attore e parte convenuta; chiedendo l’applicazione del can. 1672, 3°), il foro presso il quale si presume che la causa avrà più probabilità di successo, non può essere considerato abuso né tantomeno essere punito. Molto più semplicemente e chiaramente si sarebbe dovuto dire «illegittimamente». DC ha cercato di rimediare, almeno in parte, all’infelice formulazione del § 2: «Agli avvocati e ai procuratori è fatto divieto di sottrarre le cause ai tribunali competenti, o agire in qualunque modo in frode alla legge» (art. 110, 4° DC).
DC meritoriamente ordina didatticamente nell’art. 111 le sanzioni che l’ordinamento predispone avverso gli abusi dei procuratori e avvocati.
Nel § 1 colloca le sanzioni penali per la violazione di leggi penali sia generali sia speciali: cann. 1386, 1389, 1391, 2°, 1470 § 2, 1488-1489.
Nel § 2 colloca i provvedimenti amministrativi e le sanzioni disciplinari per la perdita di requisiti e per gli illeciti disciplinari: imperitia, bona fama amissa, neglegentia, abusus.
Nel § 3 colloca l’obbligazione e la condanna alla restituzione, riparazione e risarcimento del danno procurato.
In pratica ciò significa che l’autorità competente, di fronte ad un abuso compiuto da un procuratore o da un avvocato, avrà l’opzione tra il procedimento penale (se si sono di fatto verificate tutte le condizioni per un delitto), un procedimento disciplinare (se di fatto è stata violata una norma deontologica), un provvedimento amministrativo (se è venuto meno un requisito oggettivo per il permanere nell’albo o per l’esercizio del patrocinio) o un processo contenzioso per danni. Ciò è possibile perché di fatto in uno stesso atto possono essere compresenti più fattispecie e spetta all’autorità – omnibus perpensis – scegliere il rimedio che ritiene più efficace a parità di impegno.
L’autorità ecclesiastica competente a condurre il procedimento disciplinare è il vescovo Moderatore (cf art. 111 § 2 DC; art. 113 § 1 LP). Non è il vicario giudiziale, a meno che abbia una delega da parte del Moderatore: al vicario giudiziale spetta piuttosto elettivamente raccogliere informazioni e prove da trasmettere al vescovo Moderatore.
La Segnatura Apostolica è pure competente a condurre il procedimento disciplinare (cf can. 1445 § 3, 1°; art. 124, 1° PB; art. 113 § 2 LP). Solitamente però lascia che il vescovo Moderatore proceda: «videat, si opus est, provideat et dein referat». Ma non sempre è possibile o opportuno: in questi casi sarà la stessa Segnatura a condurre il processo disciplinare e a infliggere la sanzione disciplinare.
La procedura disciplinare presso il vescovo Moderatore può seguire un iter semplificato: avvertire l’avvocato dell’illecito rilevato e delle prove raccolte, invitandolo a difendersi, emettendo poi il decreto motivato. Questa decisione sarà ricorribile secondo le norme dei ricorsi gerarchici (cann. 1732-1739) alla Segnatura Apostolica, Dicastero competente in materia a norma del can. 1737.
Lo stesso andamento amministrativo ha la procedura in Segnatura Apostolica se si tratta di dare ammonizioni (cf art. 113 § 3 LP); per sanzioni disciplinari maggiori è prevista una procedura più garantista (cf art. 113 § 2 LP).
Le sanzioni disciplinari devono cadere all’interno della competenza di chi le infligge; nel caso del vescovo Moderatore possono spingersi fino alla proibizione di esercitare il patrocinio nel tribunale del quale egli è Moderatore (cf art. 111 § 2 DC).
Montini, G.P., L’osservanza deontologica come problema disciplinare, ossia il procedimento disciplinare canonico per i ministri del tribunale e per gli avvocati, in Deontologia degli operatori dei tribunali ecclesiastici, Città del Vaticano 2011, pp. 79-112.
Zanetti, E., Fraudolenta sottrazione di cause matrimoniali ai competenti tribunali da parte di avvocati e procuratori (can. 1488 § 2), in QDE 20 (2007) 156-166l.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 80; 107; 41 (2009) 378; 10 (1978) 272; 16 (1984) 61.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.