Causae, ob quas parochus a sua paroecia amoveri potest, hae praesertim sunt:
1° modus agendi qui ecclesiasticae communioni grave detrimentum vel perturbationem afferat;
2° imperitia aut permanens mentis vel corporis infirmitas, quae parochum suis muneribus utiliter obeundis imparem reddunt;
3° bonae existimationis amissio penes probos et graves paroecianos vel aversio in parochum, quae praevideantur non brevi cessaturae;
4° gravis neglectus vel violatio officiorum paroecialium quae post monitionem persistat;
5° mala rerum temporalium administratio cum gravi Ecclesiae damno, quoties huic malo aliud remedium afferri nequeat.
Le cause, per le quali il parroco può essere legittimamente rimosso dalla sua parrocchia, sono principalmente queste:
1° il modo di agire che arrechi grave danno o turbamento alla comunione ecclesiale;
2° l’inettitudine o l’infermità permanente della mente o del corpo, che rendano il parroco impari ad assolvere convenientemente i suoi compiti;
3° la perdita della buona considerazione da parte di parrocchiani onesti e seri o l’avversione contro il parroco, che si preveda non cesseranno in breve;
4° grave negligenza o violazione dei doveri parrocchiali, che persista dopo l’ammonizione;
5° cattiva amministrazione delle cose temporali con grave danno della Chiesa, ogniqualvolta a questo male non si possa porre altro rimedio.
Die Gründe, deretwegen ein Pfarrer seiner Pfarrei rechtmäßig enthoben werden kann, sind vornehmlich folgende:
1° Verhaltensweisen, die für die kirchliche Gemeinschaft schweren Schaden oder Verwirrung verursachen;
2° Unerfahrenheit oder dauernde geistige oder körperliche Schwäche, die den Pfarrer zur erfolgreichen Wahrnehmung seiner Aufgaben unfähig machen;
3° Verlust des guten Ruf bei rechtschaffenen und angesehenen Pfarrangehörigen oder Abneigung gegen den Pfarrer, die voraussichtlich nicht so bald behoben werden;
4° grobe Vernachlässigung oder Verletzung der pfarrlichen Amtspflichten, die trotz Verwarnung weiter andauert;
5° schlechte Vermögensverwaltung, verbunden mit einem schweren Schaden für die Kirche, sofern diesem Missstand nicht durch eine andere Maßnahme abgeholfen werden kann.
Can. 2147 § 2; can. 2157 § 1; CD 31; ES I, 20 § 1.
SUPREMO TRIBUNALE DELLA SEGNATURA APOSTOLICA: 1
* can. 1741, 1°:
– sentenza definitiva, coram Cacciavillan, 30 aprile 2005, prot. n. 34723/03 CA, in iuscangreg.it;
– decreto definitivo, coram Vallini, 3 dicembre 2005, prot. n. 34916/03 CA, in iuscangreg.it;
– sentenza definitiva, coram Burke, 16 novembre 2011, prot. n. 44136/10 CA, in iuscangreg.it;
* 1741, 2°: decreto definitivo, coram Mussinghoff, 3 dicembre 2005, prot. n. 35758/04 CA, in iuscangreg.it;
* can. 1741, 3°: sentenza definitiva, coram Cacciavillan, 30 aprile 2005, prot. n. 34723/03 CA, in iuscangreg.it;
* can. 1741, 4°: sentenza definitiva coram Cacciavillan, 28 giugno 2003, prot. n. 29531/98 CA, in iuscangreg.it.
Il Legislatore ha voluto dare una interpretazione autentica del ministero «dannoso o almeno inefficace» (can. 1740) che è causa legittima di rimozione di un parroco, attraverso una elencazione esemplificativa («praesertim») di cause. Il Legislatore ha evitato di qualificare in qualsiasi modo tali cause (giusta, grave, gravissima), in ragione del fatto che la natura e la misura della causa è data dal can. 1740 (cf Communicationes 11 [1979] 288). Questo significa che l’interprete deve giudicare la causa addotta in questo canone (e altre di simile natura) alla luce del criterio del ministero «dannoso o almeno inefficace», e viceversa, come in una ellisse con due fuochi (il can. 1740 e il can. 1741). Per questa ragione la Commissione rigettò la proposta di inserire nel can. 1740 la clausola «servata quidem naturali et canonica aequitate»: le cause di questo can. 1741 sono infatti elencate «ut non violetur naturalis et canonica aequitate» (Communicationes 11 [1979] 287; cf pure commento al can. 1746).
1°. «modo di agire che arrechi grave danno o turbamento alla comunione ecclesiale». Questa causa non ha riscontro nella tradizione canonica ed è stata inserita da ultima nell’iter di codificazione (cf. Communicationes 11 [1979] 287). La genericità di questa nuova causa potrebbe dare ansa ad abusi: i consultori hanno però ritenuto di mantenerla per rispondere ai frequenti casi di contestazione nella Chiesa che si manifestano oggi (cf. Communicationes 11 [1979] 288). La giurisprudenza della Segnatura Apostolica ha interpretato questa causa:
a) in riferimento alla parrocchia in oggetto, anche se un atteggiamento gravemente e apertamente contestatore del parroco, pur appoggiato dai fedeli della parrocchia, è stato ritenuto causa adeguata alla rimozione (Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, decreto definitivo, coram Vallini, 3 dicembre 2005, prot. n. 34916/03 CA);
b) come divisione della parrocchia originata, anche senza responsabilità del parroco, da un gruppo che si oppone al parroco;
c) come insufficiente se consistente in una mancata sintonia tra vescovo e parroco, causata dalla legittima difesa dei diritti della parrocchia da parte del parroco anche di fronte al vescovo.
2°. «Inettitudine o infermità»: l’inettitudine è una caratteristica della persona e pertanto non c’è bisogno di qualificarla «permanente», come invece avviene per la infermità sia fisica che psichica. Il parametro della inettitudine e infermità è dato dalla dannosità o inefficacia del ministero, adombrata nel canone dalla locuzione «utiliter», che nell’iter di codificazione e nello stesso can. 1748 è corrispondente a ministero non dannoso o inefficace (cf Communicationes 40 [2008] 382). Per la prova della infermità valgono le attestazioni mediche: in un caso è stato ritenuto sufficiente la pretesa infermità che il ricorrente adduceva ostruzionisticamente nel ricorso avverso la rimozione (Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, decreto definitivo, coram Mussinghoff, 3 dicembre 2005, prot. n. 35758/04 CA, n. 7). È stato rettamente annotato che questa causa di rimozione potrebbe richiedere nella procedura un curatore del parroco nei casi più gravi di infermità fisica o mentale.
3°. «Perdita della buona considerazione» e «avversione al parroco». Ad entrambe le cause sono posto limiti: la perdita della buona considerazione deve avvenire presso persone oneste e serie, e l’avversione deve avere un carattere duraturo, non passeggero. La perdita della buona considerazione può avvenire anche senza colpa del parroco e senza che sia reale e provata la sua origine. L’avversione allo stesso modo può essere originata da un eccessivo e indiscreto zelo del parroco. Sono, in altre parole, cause da considerare nella loro oggettività.
4°. «Grave negligenza dei doveri parrocchiali» e «grave violazione dei doveri parrocchiali». Questa causa è stata introdotta su richiesta di un organo consultato (cf. Communicationes 11 [1979] 289) e, trattandosi di una causa disciplinare, deve essere preceduta da una ammonizione formale rivolta al parroco perché cessi dalla negligenza o dalla violazione dei doveri parrocchiali. Per la natura dell’ammonizione essa dovrà precisare i doveri parrocchiali trascurati o violati e dare un congruo tempo per correggersi: solo all’esito negativo dell’ammonizione è possibile avviare la procedura di rimozione. La giurisprudenza è un po’ ondivaga al riguardo: è stata ritenuta causa insufficiente la mancata attuazione da parte del parroco di alcune innovazioni postconciliari in un caso, in un altro è stata ritenuta sufficiente la ostinata e duratura opposizione del parroco alle innovazioni diocesane disposte dal vescovo in ambito pastorale (Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, sentenza definitiva coram Cacciavillan, , 28 giugno 2003, prot. n. 29531/98 CA, nn. 9-13).
5°. «Cattiva amministrazione dei beni temporali»: solo se non si può ovviare in altro modo, per esempio tramite la nomina di un amministratore parrocchiale sede plena.
Non costituisce di per se stesso causa di rimozione:
a) la generica motivazione «ob bonum animarum»: sarebbe troppo ampia e potrebbe dare luogo ad abusi (cf Communicationes 11 [1979] 288);
b) la mancata presentazione della rinuncia alla parrocchia da parte del parroco ultrasettantacinquenne (cf Communicationes 15 [ma: 16] [1984] 90);
c) una mancata condiscendenza alla esplicita e ripetuta richiesta del vescovo di presentare la rinuncia da parte di un parroco ultrasettantacinquenne (cf Communicationes 15 [ma 16] [1984] 90); la Pontificia commissione per l’interpretazione dei decreti del Concilio Vaticano II nella risposta del 7 luglio 1978 ha confermato che nel caso non può essere dichiarata la cessazione immediata dall’ufficio, ma il vescovo (se ne ricorrono naturalmente i presupposti) deve seguire la procedura di rimozione prevista dal diritto (in AAS 70 [1978] 534);
d) una normativa diocesana che preveda per tutti i parroci o tutti i sacerdoti una permanenza decennale nella parrocchia;
e) un delitto di abuso commesso dal parroco: le Essential Norms – che vigono esclusivamente nelle diocesi degli Stati Uniti – richiedono che si avvii la procedura di rimozione del parroco «within the parameters of the universal law of the Church» (Norm 9), «observing the provisions of canon law» (Norm 9), «observing the required canonical procedures (CIC, cc. 192-195, 1740-1747 […])» (Norm 9 nota 7 sub b), ossia secondo la normativa generale del Codice: ciò richiede che (se è stato commesso un delitto e, a fortiori, se vi è solo un’accusa) deve essere dimostrato che il ministero del parroco è nel caso, ossia in concreto, diventato dannoso o inefficace (si cita, infatti, anche il can. 1740), e si osservi la procedura prevista dal Codice.
Barolo, L., La costituzione di un curatore nel procedimento di rimozione di un parroco affetto da infermità mentale, in QDE 21 (2008) 287-298.
Coccopalmerio, Fr., De causis ad amotionem parochorum requisitis (cann. 1740-1741), in «Periodica de re morali canonica liturgica» 75 (1986) 273-302.
Grocholewski, Z., Trasferimento e rimozione del parroco, in Aa.Vv., La parrocchia, Città del Vaticano 1997, pp. 199-247.
Montini, G.P., La rimozione del parroco tra legislazione, prassi e giurisprudenza, in QDE 24 (2011) 109-125.
Communicationes 6 (1974) 43; 8 (1976) 199; 11 (1979) 287-289; 16 (1984) 90; 40 (2008) 383-384; 397; 41 (2009) 444-445.
Notes:
- Sono citate esclusivamente le decisioni pubblicate. ↩