De parochis qui sunt sodales instituti religiosi aut societatis vitae apostolicae, servetur praescriptum can. 682, § 2.
Per i parroci che sono membri di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, si osservi il disposto del can. 682, § 2.
Bei Pfarrern, die Angehörige eines Ordensinstitutes oder einer Gesellschaft des apostolischen Lebens sind, ist die Vorschrift des can. 682, § 2 zu beachten.
Can. 2157 § 2.
SUPREMO TRIBUNALE DELLA SEGNATURA APOSTOLICA, Sentenza “coram” Davino – 21 giugno 1997. La rimozione del parroco religioso, in QDE 22 (2009) 410-418.
Premessa. Considerata la dimensione del fenomeno dei parroci religiosi, che in alcune diocesi raggiunge anche la maggioranza dei parroci, la normativa in oggetto merita una attenzione peculiare.
Applicazione. La procedura di rimozione in oggetto (cann. 1740-1747) non si applica ai parroci:
a) membri di istituti religiosi (cf cann. 538 § 2; 682 § 2; 1742 § 2);
b) incardinati in società di vita apostolica (cf cann. 538 § 2; 682 § 2; 1742 § 2): il can. 538 § 2 restringe questa eccezione all’applicazione dei cann. 1740-1747 ai soli parroci «incardinati in una società di vita apostolica». Si tratta di un’inconcinnitas da valutare accuratamente: secondo il can. 1747 § 2 la rimozione di un parroco segue la normativa del can. 682 § 2 se il parroco è «sodal[i]s societatis vitae apostolicae», secondo il can. 538 § 3 la rimozione del parroco segue la normativa del can. 682 § 2 se il parroco è «in societate vitae apostolicae incardinatus» e secondo il can. 738 § 2 la rimozione di un parroco segue la normativa del can. 682 § 2 in quanto «sodales omnes [societatis vitae apostolicae] subsunt quoque Episcopo dioecesano […] attentis cann. 679-683» (cf can. 738 §§ 1-2). Si deve tener presente che non tutti i sacerdoti «sodales» di una società di vita apostolica sono incardinati nella società: «Sodali […] societati clericali vitae apostolicae definitive incorporatus […] per receptum diaconatum incardinatur tamquam clericus eidem […] societati, nisi […] aliter ferant constitutiones» (can. 266 § 2). Donde nasce il dubbio: tutti i parroci membri di società di vita apostolica possono essere rimossi secondo il can. 682 § 2, cioè in eccezione alla normativa dei cann. 1740-1747, oppure solo i parroci incardinati in società di vita apostolica? La soluzione a questo dubbio avviene sulla base del can. 538 § 2 (solo i parroci incardinati in società di vita apostolica sono rimossi a norma del can. 682 § 2) perché in questo canone il Legislatore ha voluto precisare la sua volontà, mentre il can. 1747 § 2 è un canone di rimando inserito in ragione esplicitamente del canone 538 § 2 (cf Communicationes 11 [1979] 287) e sulla base della formulazione che il can. 538 § 2 aveva al momento del rimando («sodalis societatis vitae apostolicae»: cf Communicationes 13 [1981] 288; 14 [1982] 227), solo successivamente mutato in «in societate vitae apostolicae incardinatus».
La procedura di rimozione in oggetto (cann. 1740-1747) si deve perciò applicare ai parroci: La “ratio legis”. Non è difficile collegare la ragione del regime peculiare di rimozione del parroco religioso al regime peculiare di nomina del medesimo parroco: dal momento che la nomina del parroco religioso avviene da parte del vescovo su presentazione o consenso del superiore religioso (can. 682 § 1), la rimozione è coerente che avvenga a discrezione («ad nutum») sia del vescovo che l’ha nominato sia del superiore religioso che l’ha presentato (can. 682 § 2). La logica nel caso però è solo apparente: non si tiene conto del fatto che la rimozione non è un qualsiasi modo di cessare da un ufficio, ma uno specifico modo che richiede una causa canonica di varia gravità a seconda della natura dell’ufficio e della sua durata prestabilita; non si tiene conto nel caso della degradazione che si opera della stabilità dell’ufficio fino a divenire «ad nutum», senza che si consideri una causa proporzionata di tale degradazione; non si tiene conto delle implicazioni che la presentazione e la nomina hanno sottinteso in riferimento all’ufficio in oggetto. La logica viene ristabilita se si distingue: data la modalità di nomina è assolutamente logico che gli attori della rimozione del parroco nel caso siano due (vescovo e superiore religioso) e non solo uno (vescovo); entrambi, vescovo e superiore religioso, però hanno dei limiti nel procedere alla rimozione. Paiono deporre per questa interpretazione alcune annotazioni. La prima attiene al motu proprio Ecclesiae Sanctae che al num. 32 della prima parte (fonte diretta del can. 682 § 2) fa coesistere senza contraddizione «gravi vero de causa» e «ad nutum», a significare che «ad nutum» intende solo indicare che due sono gli attori che – positis ponendis – possono operare la rimozione. La seconda attiene al fatto che l’unica volta che «ad nutum» ricorre nel Codice è appunto nel can. 682 § 2: ciò non può non suggerire un significato contestualizzato dell’espressione. La terza concerne la almeno parzialmente inadeguata ratio legis abitualmente addotta per giustificare l’eccezione del can. 682 § 2: il voto di obbedienza. Alla medesima conclusione dovrebbe allora portare la solenne promessa di obbedienza dei sacerdoti secolari, ciò che è stato specificatamente escluso dalla Congregazione de propaganda fide in una presa di posizione del 30 giugno 1831 a correzione di un simile fondamento della rimozione dei parroci affermato nel primo Concilio di Baltimora. I limiti della rimozione di un parroco religioso. La giurisprudenza della Segnatura Apostolica, investita di un caso di rimozione operato da un superiore religioso in conflitto con il parroco religioso e il vescovo diocesano, ha chiarito alcuni limiti nell’applicazione del can. 682 § 2 alla rimozione di un parroco religioso: Questi limiti avvicinano la normativa della rimozione del parroco religioso alla normativa della cessazione dall’ufficio di parroco del sacerdote «passato legittimamente ad un’altra Chiesa particolare, rimanendo incardinato nella propria Chiesa» al cessare in modo legittimo della convenzione sia da parte del vescovo a quo sia da parte del vescovo ad quem (cf can. 271 § 3). Questi limiti sono compatibili con la disciplina religiosa e meglio tutelano la stabilità istituzionale del parroco a beneficio della parrocchia (cf. can. 522). Ricorso. È evidente che avverso la rimozione del parroco religioso può ricorrere lo stesso parroco, il vescovo diocesano avverso la rimozione decretata dal superiore religioso e viceversa (cf can. 454 § 5 CIC17).
– membri di società di vita apostolica incardinati in una diocesi: le costituzioni della società e la convenzione particolare stipulata tra diocesi e società («Relationes sodalis dioecesi incardinati cum Episcopo proprio constitutionibus vel particularibus conventionibus definiuntur» [can. 738 § 3]) non possono prevedere un diverso modo di procedere nella rimozione, normata da una legge di rango superiore e con una eccezione (can. 538 § 2) di stretta interpretazione;
– membri di istituti secolari: siano essi incardinati nell’istituto secolare (cf cann. 266 § 3; 715 § 2) o nella diocesi (cf cann. 266 § 3; 715 § 1), sono rimossi secondo la normativa generale (cann. 1740-1747) sia perché non v’è traccia nei canoni sugli istituti secolari (cann. 710-730) di un rimando esplicito al can. 682 § 2 sia perché l’eccezione del can. 538 § 2 è di stretta interpretazione;
– membri di associazioni, che hanno la facoltà di incardinare, sia incardinati in esse sia incardinati in diocesi: e ciò per le medesime ragioni sopra riportate.
a) la discrezione («ad nutum») di cui al can. 682 § 2 non equivale a arbitrarietà e quindi esclude «da motivi inesistenti, falsi, fittizi o gravemente inconferenti»;
b) il superiore religioso non è abile «a proferire un giudizio sul ministero parrocchiale esercitato senza tener conto della valutazione del Vescovo, e ancor meno contro il giudizio del Vescovo stesso»;
c) «il ministero del parroco primariamente e per se stesso soggiace all’autorità del Vescovo, cui spetta prima di ogni altro dare un giudizio sulla idoneità del ministero parrocchiale esercitato»; il che fa ritenere che la rimozione del parroco religioso da parte del vescovo avrà come parametri i cann. 1740-1741;
d) il superiore religioso è abile a giudicare del trasferimento di un religioso ad un’altra comunità religiosa e, pertanto, di conseguenza, alla rimozione dall’ufficio di parroco.
Andrés Gutiérrez, D.J., La rimozione dei parroci membri di IVCR e SVA a norma del CIC (cann. 1740 – 1747): alcune perplessità e lacune da colmare, in «Commentarium pro religiosis» 92 (2011) 267-280.
D’Ostilio, Fr., De provisione officii parochi religiosi necnon de eius amotione, in «Monitor ecclesiasticus» 101 (1976) 286-305.
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