Pendente recursu adversus amotionis decretum, Episcopus non potest novum parochum nominare, sed per administratorem paroecialem interim provideat.
In pendenza del ricorso contro il decreto di rimozione, il Vescovo non può nominare un nuovo parroco, ma nel frattempo provveda tramite un amministratore parrocchiale.
Solange gegen das Enthebungsdekret eine Beschwerde anhängig ist, kann der Bischof einen neuen Pfarrer nicht ernennen; er hat vielmehr einstweilen durch einen Pfarradministrator Sorge zu tragen.
Can. 2146 § 3; SA Decisio, 1 nov. 1970; CIV Resp. II, 1 iul. 1971 (AAS 63 [1971] 860).
«In pendenza del ricorso». I limiti temporali intesi in questa espressione incominciano dal momento della notificazione del decreto di rimozione al parroco fino alla notificazione della decisione definitiva non più impugnabile (res iudicata) della Segnatura Apostolica. Questo periodo comprende, quindi:
a) il tempo precedente alla notificazione del decreto di rimozione: in altre parole il decreto di rimozione firmato dal vescovo non ha alcun effetto (e quindi è equiparabile alla pendenza del ricorso di cui al can. 1747 § 3) finché non è legittimamente intimato al parroco. Così il vescovo non può nominare in questo lasso di tempo un nuovo parroco;
b) il tempo precedente allo scadere dei dieci giorni utili (can. 201 §2) per proporre la rimostranza al vescovo che ha emanato il decreto di rimozione (can. 1734 §§ 1–2): in altre parole il vescovo non può nominare un nuovo parroco finché non siano compiuti i dieci giorni che il parroco rimosso ha a disposizione per ricorrere al vescovo contro il decreto di rimozione;
c) il tempo nel quale si svolge il ricorso gerarchico fino alla decisione del dicastero competente della Curia Romana (can. 1737);
d) il tempo nel quale si svolge il ricorso contenzioso amministrativo presso la Segnatura Apostolica (can. 1445 § 2).
La pendenza del ricorso cessa se «nessun ricorso viene presentato contro il decreto nel termine stabilito» (cf, per analogia, can. 1736 § 4), ossia:
– non si presenta la rimostranza nel termine stabilito (can. 1734 §§ 1–2);
– non si presenta nel termine stabilito ricorso gerarchico (can. 1737 §§ 1–2) dopo la rimostranza;
– non si presenta nel termine stabilito ricorso contenzioso amministrativo (can. 1445 § 2; LP 34 § 1) dopo il ricorso gerarchico;
– per rinuncia al ricorso;
– per perenzione del ricorso;
– per cessazione della materia del contendere.
Effetti del ricorso. Il can. 1747 § 3 prevede che con il ricorso il vescovo «non può nominare un nuovo parroco». La migliore dottrina ha qualificato questo effetto del ricorso come sospensivo, ossia sospende parzialmente l’esecuzione del decreto di rimozione perché la parrocchia, nonostante il decreto di rimozione, non è vacante e, pertanto appunto, il vescovo non può nominare un nuovo parroco. Questa posizione della dottrina è giustificata dai seguenti principali argomenti:
– dichiarazione della Segnatura Apostolica del 1° dicembre 1970, prot. n. 193/70 CA (in «Periodica de re morali canonica liturgica» 60 [1971] 348): «[paroecia] iure vacans considerari non potest»;
– risposta della Pontificia commissione per l’interpretazione dei decreti del Concilio Vaticano II, 1° luglio 1971 (in AAS 63 [1971] 860): «[…] recursum non esse tantum in devolutivo, sed etiam in suspensivo […]».
Le principali conseguenze di questa impostazione dottrinale sono le seguenti:
– un’eventuale nomina del nuovo parroco pendente recursu è invalida, in forza del can. 153 § 1; per tale ragione il can. 1747 § 3 non ritenuto necessario ripetere l’avverbio «valide» del can. 2146 § 3 CIC1917;
– un’eventuale dichiarazione di illegittimità del decreto di rimozione ottenuta tramite ricorso non richiede alcun atto per reimmettere il parroco rimosso nell’ufficio parrocchiale.
L’amministratore parrocchiale. Il can. 1747 § 3 prevede che «durante il ricorso» la cura pastorale della parrocchia sia affidata dal vescovo ad un amministratore parrocchiale: la disposizione è coerente con la natura dell’amministratore parrocchiale quale emerge dai cann. 539-540. La previsione del can. 1747 § 3 non preclude soluzioni alternative (cf, per esempio, cann. 541; 544) né esclude che già un amministratore parrocchiale sia stato nominato durante la procedura di rimozione, se ne esistevano i presupposti, e quindi continui durante il ricorso.
Questioni particolari. L’applicazione del can. 1747 § 3 pone alcune questioni particolari di non rara evenienza. Almeno le seguenti meritano una menzione.
La prima concerne il fatto che non sempre il vescovo è informato debitamente e tempestivamente dello svolgimento del ricorso. Così, per esempio, messo a conoscenza dell’esito negativo del ricorso gerarchico proposto dal parroco rimosso presso la Congregazione e dopo un silenzio durato più mesi, il vescovo potrebbe ritenere che il ricorso è cessato e nominare un nuovo parroco, salvo poi ad essere informato più tardi che la Congregazione sta trattando lo stesso ricorso in virtù del beneficium novae audientiae chiesto dal parroco ricorrente oppure ricevere dalla Segnatura Apostolica l’invito a costituirsi, se crede, per il ricorso contenzioso amministrativo che il parroco ha introdotto (LP 91 § 1, 1°). Nessuno a rigore è tenuto ad avvertire tempestivamente il vescovo del prosieguo del ricorso. Il parroco ricorrente ha interesse a tenere informato tempestivamente il vescovo dello svolgimento del ricorso. La comune diligenza (trattandosi di questione di validità dell’atto) impone al vescovo di informarsi del ricorso prima di procedere alla nomina del nuovo parroco.
La seconda concerne la facoltà che il Superiore gerarchico ha di ricevere un ricorso gerarchico anche fuori termini e anche fuori dai requisiti del medesimo. Potrebbe, così, accadere che il vescovo, constatato che il parroco rimosso non gli ha presentato rimostranza alcuna entro dieci giorni utili, ritenga legittimamente che non penda alcun ricorso (la rimostranza entro dieci giorni è conditio sine qua non per il ricorso gerarchico) e nomini il nuovo parroco, salvo poi essere informato che il dicastero ha accolto comunque il ricorso gerarchico presentato fuori termini e senza la necessaria rimostranza. Il nuovo parroco è in tal caso nominato validamente e, nel caso il parroco rimosso ottenga la dichiarazione di illegittimità del decreto di rimozione, il suo diritto al reintegro nella parrocchia non potrà avvenire automaticamente.
La terza attiene alla domanda se il parroco rimosso abbia la legittimazione attiva per impugnare la nomina del nuovo parroco effettuata illegittimamente (e invalidamente) in pendenza di ricorso.
La quarta concerne la possibilità che il parroco rimosso – secondo i principi generali (cf cann. 1734 § 1; 1736; LP 95 § 1 – chieda ed ottenga la sospensione del decreto di rimozione. In tal caso il parroco rimosso non cade sotto i limiti del can. 1747 §§ 1-3.
La quinta attiene alla questione sistematica circa il rapporto tra il can. 1747 § 3 e il can. 143 § 2.
Grocholewski, Z., Trasferimento e rimozione del parroco, in Aa.Vv., La parrocchia, Città del Vaticano 1997, pp. 199-247.
Ingels, Gr., Appointment of Administrator While Pastor Has Recourse to Removal, in «Roman Replies» 1993, 84-86.
Mendonça, Aug., The Effect of the Recourse Against the Decree of Removal of a Parish Priest, in «Studia canonica» 25 (1991) 139-153.
Rhode, Ulr., La sospensione imposta di carattere non penale, in «Periodica de re canonica» 109 (2020) di prossima pubblicazione.
Communicationes 11 (1979) 294; 40 (2008) 393-394; 399; 41 (2009) 446.