Qui aliquem convenire vult, debet libellum competenti iudici exhibere, in quo controversiae obiectum proponatur, et ministerium iudicis expostuletur.
Chi vuol convenire qualcuno deve presentare al giudice competente un libello in cui si proponga l’oggetto della controversia e si richieda il ministero del giudice.
Wer jemanden belangen will, muss eine Klageschrift bei dem zuständigen Richter einreichen, in der der Streitgegenstand vorzutragen und der richterliche Dienst zu beantragen ist.
Can. 1706; PrM 55 § 2.
DC, art. 115, § 1
Qui matrimonium impugnare vult, debet competenti tribunali libellum exhibere (cf. can. 1502).
Con l’introduzione del can. 1501 (nuovo rispetto al Codice previgente) il can. 1502, originariamente il primo canone della parte sul contenzioso ordinario, viene ad assumere una connotazione nuova: esso è deputato a determinare gli elementi costitutivi della domanda dell’attore: Con questo canone, pertanto, si introduce una utile distinzione tra ciò che costituisce il libello (cf can. 1502) e ciò che il medesimo libello deve contenere (cf can. 1504). Questa distinzione preserva il processo da una possibile deriva positivistica, consentendo di rilevare una domanda efficace (per esempio, ai fini del can. 1620, n. 4), a fronte pure di lacune o imperfezioni nella sua proposizione. Per questa ragione è stata opportunamente respinta la proposta di congiungere i canoni 1502 e 1504 (cf. Communicationes 38 [2006] 121). Processualmente
– invocazione dell’intervento del giudice secondo il suo ufficio (ministerium);
– proposizione dell’oggetto della controversia.
Senza questi elementi la causa è sprovvista di domanda o perché manca della richiesta formale al giudice (poni se il testo si limitasse a descrivere una vicenda, senza concludere con una richiesta) o perché manca l’oggetto della domanda (poni se il testo chiede l’intervento del giudice senza specificare che cosa chiede al giudice).
Nell’intervallo tra la prima revisione del testo e il primo schema del Codice, si operò una semplificazione omettendo la locuzione «ad deducta iura persequenda», che specificava la finalità della domanda rivolta a suscitare l’intervento del «ministerium» del giudice. Si tratta di una omissione che non altera il significato del testo: è, infatti, ovvio che l’invocazione dell’intervento del giudice è limitato dall’oggetto della domanda e non può esorbitare dalla natura dell’ufficio giudiziale. Una richiesta, per esempio, di mera conciliazione rivolta al giudice perché intervenga in una controversia, è evidente che non è atta a introdurre una causa.
È stata respinta la proposta di un canone sul libello presentato dal promotore di giustizia per una causa penale: «Libellus accusationis a promotore iustitiae ne conficiatur, nisi normis antea servatis […]» sulla indagine penale previa (Communicationes 38 [2006] 121). Riapparirà poi nel testo definitivo del Codice, al can. 1721, § 1, il rinvio esplicito al can. 1502 circa il libello che il promotore di giustizia deve presentare al giudice.
Il can. 1502, con la sua natura costitutiva, consente al giudice che compie la prima verifica del libello a norma del can. 1505, § 2, di non limitarsi al rigetto del libello (cf ibid.) per inosservanza delle disposizioni del can. 1504, nn. 1-3, che declinano positivamente gli elementi costitutivi della domanda giudiziale (can. 1502), ma anche di procedere oltre dichiarando la nullità (ossia l’inesistenza) del libello per mancanza di un elemento costitutivo (cf can. 124, § 1). Si può, in altre parole, applicare per analogia a tutte le cause l’art. 75 della Lex propria della Segnatura Apostolica: «Nullus est recursus si absolute incertum manet de quibusnam personis vel dee quonam obiecto agatur» (AAS 100 [2008] 529). Ciò implica che la normativa prescritta per il rigetto del libello sia vincolante solo nel momento che lo scritto presentato al giudice abbia la species di libello, ossia non manchi degli elementi costitutivi.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 121; 147; 41 (2009) 386; 11 (1979) 82.