§ 2. Libellus reici potest tantum:
1° si iudex vel tribunal incompetens sit;
2° si sine dubio constet actori legitimam deesse personam standi in iudicio;
3° si non servata sint praescripta can. 1504, nn. 1-3;
4° si certo pateat ex ipso libello petitionem quolibet carere fundamento, neque fieri posse, ut aliquod ex processu fundamentum appareat.
§ 2. Il libello può essere respinto soltanto:
1° se il giudice o il tribunale sono incompetenti;
2° se consta senza dubbio che all’attore manca la capacità legittima di stare in giudizio;
3° se non sono state osservate le disposizioni del can. 1504, nn. 1-3:
4° se è sicuramente manifesto dal libello stesso che la domanda manca di qualunque fondamento, né potrà accadere che alcun fondamento emerga dal processo.
§ 2. Eine Klageschrift kann nur abgelehnt werden, wenn:
1° der Richter oder das Gericht nicht zuständig ist;
2° zweifelsfrei feststeht, dass der Kläger nicht prozessual rollenfähig ist;
3° die Vorschriften des can. 1504, nn. 1-3 nicht eingehalten worden sind;
4° aus der Klageschrift sicher hervorgeht, dass das Klagebegehren jeder Grundlage entbehrt und keine Möglichkeit besteht, dass sich aus dem Verfahren irgendeine Grundlage ergibt.
PrM 64.
DC, art. 120
§ 1. Praeses potest et debet, si casus ferat, praeviam investigationem instituere quoad quaestionem de competentia tribunalis et de actoris legitima persona standi in iudicio.
§ 2. Quoad meritum vero causae eam tantum instituere potest in ordine ad libellum admittendum vel reiciendum, si libellus videatur quolibet carere fundamento, et quidem tantummodo ad videndum num fieri possit ut aliquod ex processu fundamentum appareat.
DC, art. 121
§ 1. Libellus reici potest tantum:
1º si tribunal incompetens sit;
2º si petitio sine dubio exhibita sit ab eo qui impugnandi matrimonium iure non pollet (cf. artt. 92-93; 97, §§ 1-2; 106, § 2);
3º si non servata sint praescripta art. 116, § 1, nn. 1-4;
4º si certo pateat ex ipso libello petitionem quolibet carere fundamento, neque fieri posse, ut aliquod ex processu fundamentum appareat (cf. can. 1505, § 2).
DC, art. 122
Non habetur fundamentum pro admissione libelli, si factum, quo impugnatio nititur, licet undequaque verum, matrimonio tamen irritando impar omnino sit, vel, quamvis factum tale sit quod matrimonium redderet irritum, assertionis falsitas sit in aperto.
L’introduzione del § 2 Le cause del rigetto del libello Incompetenza (can. 1505, § 2, n. 1) Difetto di legittimazione attiva dell’attore (can. 1505, § 2, n. 2) Difetti nella domanda giudiziale (libello): can. 1505, § 2, n. 3 Mancanza di fumus boni iuris (can. 1505, § 2, n. 4)
Nel primo esame della Commissione un consultore propose che in un paragrafo si elencassero le cause per le quali il libello potesse essere rigettato, ma il Relatore con altri consultori si opposero ritenendo «quamlibet enumerationem taxativam […] difficilem et periculosam evadere» (Communicationes 38 [2006] 125).
Ma fu il settimo consultore che propose al parvus coetus un testo del nuovo paragrafo (cf Communicationes 41 [2009] 151), che non solo fu accettato nel I schema, ma che si mantenne pressoché inalterato fino al testo promulgato.
Il presente prescritto è di grande importanza interpretativa: esso enumera le uniche cause che giustificano il rigetto di un libello. Ha portata costituzionale; è di stretta interpretazione; in dubio il libello deve essere ammesso.
Il Legislatore ha qui espresso la volontà che la domanda di giustizia che con il libello viene presentata al giudice debba prevalere su tutte le ragioni, eccetto l’evidenza della totale infondatezza della domanda. Il Legislatore, infatti, è cosciente dei pericoli che si possono correre con una ammissione larga di libelli: uno spreco di tempo, energie, persone, denaro, con rischi per la pace e la coesione umana e ecclesiale. Eppure prevale per il Legislatore la domanda di giustizia, cosciente che a poco varrebbe il dettagliare diritti e doveri nei testi legislativi se poi l’accesso alla loro realizzazione (rivendicazione) tramite i tribunali fosse impedito dalla mera delibazione della domanda di giustizia, senza una presa in considerazione del merito.
La prima causa che impone il rigetto del libello è l’incompetenza del giudice al quale è stato presentato il libello (can. 1504, n. 1). Se incompetente, il giudice deve rigettare il libello; se competente, deve ammettere il libello: l’inosservanza di questo dovere può costituire delitto (cf can. 1457). L’incompetenza, causa del rigetto, può essere tanto quella assoluta quanto quella relativa (cf can. 1406). Il giudice rigetta il libello dichiarandosi incompetente e non può e non deve indicare quale sia il tribunale competente. Il rigetto del libello per incompetenza non costituisce né una sentenza né una decisione avente vis sententiae definitivae sulla competenza (cf cann. 1460-1461), poiché è pronunciata in assenza della parte convenuta.
La seconda causa che impone il rigetto del libello è la certezza morale che l’attore manchi della legittimazione attiva per introdurre la causa tramite il libello. Si sommano in questa fattispecie sia la mancanza di
1) legittimazione «ad causam», ossia la mancanza di abilitazione a introdurre quella causa: così l’introduzione di una causa penale è solo del promotore di giustizia; l’introduzione di una causa di nullità matrimoniale, viventi i coniugi, è solo dei coniugi (o di uno di loro) o del promotore di giustizia. Tutti gli altri mancano delle legittimazione attiva;
2) legittimazione «ad processum», ossia la mancanza di abilità a intervenire nel processo a motivo di mancanza dell’uso di ragione: così chi sia affetto da grave malattia mentale non può presentare il libello, che quindi deve essere rigettato. Sarà necessario che al suo posto un curatore sia nominato, che presenterà poi, si et quatenus, il libello.
In questa fase (preliminare) il rigetto può avvenire solo se la mancanza di legittimazione attiva «sine dubio constat», pertanto in dubio non si può rigettare il libello. Così sarebbe prematura in questa fase la verifica della legittimazione attiva della parte convenuta.
La terza causa che impone il rigetto del libello è l’inosservanza di alcuni requisiti per la redazione del libello, carenze insomma nella formulazione della domanda giudiziale.
In un primo momento (I schema) le carenze dovevano essere relative solo alle richieste del can. 1504, n. 1 (indicazione del giudice, del petitum e della parte convenuta) e del n. 3 del medesimo canone (firma, data e luogo): Communicationes 41 (2009) 387. Alcuni organi di consultazione proposero di rendere rilevanti per il rigetto anche le carenze del libello circa il n. 2 del can. 1504 (causa petendi, fatti e prove), ma la Commissione bocciò l’aggiunta perché appariva eccessivamente severa (cf Communicationes 11 [1979] 84). Insistette su questa aggiunta il cardinale König nella consultazione della Congregatio Plenaria e la Commissione stavolta diede parere positivo (ibid., 16 [1984] 62).
Il pericolo di un eccesso di severità al riguardo è evitato dal § 3 di questo stesso canone 1505, ossia che questi difetti potranno ordinariamente trovare una correzione (cf commento al can. 1505, § 3).
La quarta causa che impone il rigetto del libello è quella che in dottrina è denominata mancanza di fumus boni iuris. Come il buon aroma che proviene dalla cucina incoraggia un ospite a sperare in un buon pranzo, così la concinnitas di un libello introduttorio della causa fa ben sperare il giudice in una causa nella quale potrà dare la vittoria a chi gli chiede giustizia (attore). Il fumus boni iuris si può tradurre come la probabilità che la domanda presentata nel libello abbia successo, ossia riceva dal giudice sentenza affermativa. È una probabilità fondata sullo stato degli atti, ossia, come plasticamente si esprime il n. 4, «ex ipso libello». Ciò significa che il giudice per valutare se manca ogni probabilità di successo della causa, ha a disposizione solo il libello («ex ipso libello»: n. 4).
Il prescritto «ex ipso libello» (che può essere “tradotto” anche come «dal solo libello») comporta in primo luogo, che il libello sarà ordinariamente ammesso: una domanda infatti del tutto infondata si può avere solo se il libello è “suicida”. DC 122 offre l’esempio di due libelli che non possono essere ammessi per mancanza di fumus boni iuris, il primo in iure, il secondo in facto.
Il prescritto «ex ipso libello» comporta anche che il giudice non può condurre alcuna indagine volta a decidere se ammettere o rigettare il libello. DC 120 enuncia le rigide condizioni alle quali il giudice può e, se del caso, deve condurre un’indagine prima della decisione di ammettere o rigettare il libello.
Con questa normativa (can. 1505, § 2, n. 4) il Legislatore intende ovviare ai gravi abusi di tribunali nei quali si svolge una indagine («processus ante processum») talmente ampia prima di ammettere o rigettare un libello che l’attore viene di fatto privato del diritto ad un processo, dal momento che l’indagine si svolge al di fuori delle garanzie processuali e il giudice persegue con un’indagine previa quello che si richiede al termine del giudizio (la certezza morale) e non all’inizio (quando è richiesto solo il fumus boni iuris).
Z. Grocholewski, «De periodo initiali seu introductoria processus in causis nullitatis matrimonii», Periodica de re canonica 85 (1996) 100-104.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 125; 41 (2009) 151; 41 (2009) 387; 11 (1979) 84; 16 (1984) 62.
L’articolo di Z. Grocholewski citato in bibliografia è stato pubblicato in varie lingue e luoghi:
Z. Grocholewski, «A fase inicial ou introdutória do processo nas causas de nulidade de matrimônio», Direito & pastoral 10 (1996) 7-52;
Z. Grocholewski, «De periodo initiali seu introductoria processus in causis nullitatis matrimonii», in Zbornik z II. Sympózia kanonického práva, 1992, 13-65;
Z. Grocholewski, «Úvodná fáza Procesu v Kauzách Manželskej Nulity», in Ius et iustitia. Acta III Symposii Iuris Canonici anni 1993, Spisska Kapitula 1994, 211-259.
Bibliografia e ulteriori approfondimenti in G.P. Montini, De iudicio contentioso ordinario. De processibus matrimonialibus. II. Pars dynamica. Editio quinta. Ad usum Auditorum, Romae 20205, pp. 101-151.