§ 4. Adversus libelli reiectionem integrum semper est parti intra tempus utile decem dierum recursum rationibus suffultum interponere vel ad tribunal appellationis vel ad collegium, si libellus reiectus fuerit a praeside; quaestio autem reiectionis expeditissime definienda est.
§ 4. Contro la reiezione del libello, la parte ha sempre diritto di interporre ricorso corredato da motivazioni, entro il tempo utile di dieci giorni o al tribunale d’appello o al collegio se il libello fu respinto dal presidente; la questione poi della reiezione deve essere definita con la massima celerità.
§ 4. Gegen die Ablehnung der Klageschrift steht einer Partei stets das Recht zu, innerhalb einer Nutzfrist von zehn Tagen eine begründete Beschwerde entweder an das Berufungsgericht einzulegen oder an das Richterkollegium, falls die Klageschrift vom Vorsitzenden abgewiesen worden ist; die Frage der Klageschriftsablehnung ist aber auf schnellstem Weg endgültig zu entscheiden.
Can. 1709 § 3; PrM 66.
DC, art. 124
§ 1. Adversus libelli reiectionem integrum semper est parti intra tempus utile decem dierum recursum rationibus suffultum interponere ad collegium, si libellus reiectus fuerit a praeside; secus ad tribunal appellationis: utroque in casu quaestio reiectionis expeditissime definienda est (cf. can. 1505, § 4).
§ 2. Si forum appellationis libellum admittat, causa iudicanda est a tribunali a quo.
§ 3. Si recursus interpositus est ad collegium, non potest iterum interponi ad tribunal appellationis.
La questione centrale: il ricorso e l’accesso al tribunale di appello Se il libello è rigettato dal giudice unico Se il libello è rigettato dal preside del collegio Nel caso della Rota Romana La procedura del ricorso Altri rimedi contro il rigetto del libello E il ricorso avverso l’ammissione del libello?
Il prescritto è stato oggetto di tali e tante vicissitudini nella sua formazione, come nella sua interpretazione, che è inevitabile discernere in esso quanto è certo e unanimemente riconosciuto, da quanto è invece oggetto di aspre discussioni.
Affrontiamo subito la questione centrale: l’accesso al tribunale di appello avverso il rigetto del libello. È consentito contro il rigetto del libello accedere al tribunale di appello? Non è consentito? La questione è dirimente: l’accesso al tribunale di appello è la maggiore tutela di fronte ad un rigetto che si ritiene ingiusto; non si dimentichi che rigettare un libello equivale a negare la domanda di giustizia in relazione ad un diritto proclamato dal legislatore; potrebbe esserci una denegata giustizia. Negare l’accesso al tribunale di appello significa concedere al tribunale adíto il giudizio finale, definitivo, sul mio diritto ad un processo per rivendicare i miei diritti. D’altro canto l’accesso al tribunale di appello significa allungamento dei tempi e aumento dei costi; negare l’accesso al tribunale di appello significa celerità e risparmio.
Il testo del § 4, la giurisprudenza e la dottrina sono unanimi: se il libello è stato rigettato dal giudice unico, il ricorso avverso il rigetto reputato ingiusto deve essere rivolto al tribunale di appello.
Questa certezza riguarda oggi la grande maggioranza delle cause, dal momento che il motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus ha previsto che l’esame del libello sia proprio del vicario giudiziale (cf can. 1676, § 1). Di conseguenza, essendo nel caso in quel momento il vicario giudiziale giudice unico, il rigetto del libello potrà nelle cause di nullità matrimoniale essere impugnato solo presso il tribunale di appello. In tal modo le difficoltà interpretative del § 4 si sono quantitativamente ridotte.
Le tesi interpretative che si fronteggiano sono quattro.
La prima ritiene che il rigetto del preside possa essere oggetto di ricorso solo al collegio.
La seconda tesi ritiene che contro il rigetto del preside sia concesso il ricorso al collegio e poi al tribunale di appello.
La terza tesi ritiene che contro il rigetto del preside sia concessa all’attore l’alternativa: ricorso al collegio o ricorso al tribunale di appello.
La quarta tesi ritiene che l’alternativa sia tra ricorso al collegio e poi al tribunale di appello, oppure ricorso direttamente al tribunale di appello.
La tesi che si ritiene più fondata e razionale è la seconda. La tesi abbracciata da DC è la prima.
Per una disamina delle singole tesi e degli argomenti cf G.P. Montini, De iudicio contentioso ordinario. De processibus matrimonialibus. II. Pars dynamica. Editio quinta. Ad usum Auditorum, Romae 20205, pp. 129-133.
Poiché è il Turno competente a rigettare il libello (art. 55, § 1 Norme rotali vigenti), è il Turno superiore competente a decidere il ricorso avverso il decreto di rigetto. Nel caso che il rigetto sia stato deciso dal Decano in forza dell’art. 51 delle Norme rotali vigenti, il ricorso deve essere presentato alla Segnatura Apostolica (cf almeno LP 33, nn. 1-2).
Il § 4 menziona anzitutto il termine entro il quale fare ricorso: dieci giorni utili dalla notificazione del decreto di rigetto. Il tempo è utile, cioè si computano i giorni a norma del can. 201, § 2.
Il ricorso deve essere provvisto di motivazioni. La clausola appare senza spiegazioni nella revisione dopo la consultazione generale (cf Communicationes 11 [1979] 85). Da un lato si tratta di una clausola ragionevole: motivato deve essere il decreto impugnato, motivato conviene che sia il ricorso. Che i motivi di ricorso siano ad validitatem o per la ammissibilità del ricorso pare da escludere o almeno non ci sono elementi testuali che lo suffraghino.
Il ricorso non ha bisogno del duplice passaggio, interposizione presso il giudice a quo e prosecuzione presso il giudice ad quem. Nel caso di ricorso avverso il rigetto del preside, si presenta il ricorso allo stesso preside, che può o revocare il decreto di rigetto o trasmettere il ricorso al collegio (cf, per analogia, DC 221, § 2).
La decisione del ricorso contro il rigetto del libello non è ulteriormente impugnabile. L’individuazione della decisione non più impugnabile avviene secondo la tesi abbracciata nell’interpretazione del § 4: nel caso, per esempio, del giudice unico è la decisione del tribunale di appello; nel caso della tesi fatta propria dalla DC, è la decisione del collegio, e così via. Il significato della locuzione «expeditissime» è mutuato per analogia dal can. 1629, n. 5.
La cancellazione della previsione dell’intervento della parte, del promotore di giustizia o del difensore del vincolo (cf Communicationes 11 [1979] 85) prevista nel can. 1709, § 3 del Codice previgente, è chiaramente dovuta al fatto che il loro intervento nella procedura del ricorso è pacifica.
È stata rifiutata la richiesta più volte presentata di inserire nel § 4 la precisazione che nel caso il ricorso contro il rigetto del libello avesse successo, la causa doveva essere rimessa per la sua trattazione al tribunale a quo (cf Communicationes 38 [2006] 126; 11 [1979] 85; 16 [1984] 62): si tratta – questa la motivazione del rifiuto – di una disposizione ovvia (cf ibid.).
Il primo rimedio è la riproposizione, ossia la ripresentazione, del libello al medesimo tribunale o a un altro tribunale competente, immediatamente dopo il rigetto o tempo dopo. Non vigendo nel caso il principio ne bis in idem, la riproposizione non è vietata.
Un altro rimedio disponibile è la querela di nullità o forse meglio l’eccezione di nullità, qualora si ritenga che il rigetto sia avvenuto con un vizio insanabile o sanabile di nullità (cf cann. 1620; 1622). La proposizione avviene a norma dei cann. 1621, 1624 e 1625. Non si dà appello avverso la decisione di questa eccezione di nullità.
Un altro rimedio ancora disponibile è la restitutio in integrum avverso il decreto non più impugnabile di rigetto del libello. La questione è controversa, ma la prevalente giurisprudenza rotale e la prassi della Segnatura Apostolica ammettono la restitutio in integrum per ragioni di giustizia sostanziale: non vi sarebbe altro rimedio per un manifestamente ingiusto rigetto del libello.
Il § 4 non tratta del ricorso avverso l’ammissione del libello. La giurisprudenza, infatti, ritiene che sia esclusa la possibilità di questo ricorso in quanto l’amissione non ha vis sententiae definitivae (cf can. 1618), ossia non preclude il giudizio, ma anzi lo apre e quindi chi contesta l’ammissione ha a disposizione il processo per la contestazione del merito.
Questa è la giurisprudenza vigente; non mancano però giustificate inquietudini della dottrina al riguardo.
Z. Grocholewski, «De periodo initiali seu introductoria processus in causis nullitatis matrimonii», Periodica de re canonica 85 (1996) 107-114.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 126; 148; 41 (2009) 387; 11 (1979) 85; 16 (1984) 62.
L’articolo di Z. Grocholewski citato in bibliografia è stato pubblicato in varie lingue e luoghi:
Z. Grocholewski, «A fase inicial ou introdutória do processo nas causas de nulidade de matrimônio», Direito & pastoral 10 (1996) 7-52;
Z. Grocholewski, «De periodo initiali seu introductoria processus in causis nullitatis matrimonii», in Zbornik z II. Sympózia kanonického práva, 1992, 13-65;
Z. Grocholewski, «Úvodná fáza Procesu v Kauzách Manželskej Nulity», in Ius et iustitia. Acta III Symposii Iuris Canonici anni 1993, Spisska Kapitula 1994, 211-259.
Bibliografia e ulteriori approfondimenti in G.P. Montini, De iudicio contentioso ordinario. De processibus matrimonialibus. II. Pars dynamica. Editio quinta. Ad usum Auditorum, Romae 20205, pp. 101-151.